Fino all’ultima aurora

Foto di Pezibear da Pixabay
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L’ultima notte insonne esce di scena; il canto del mare si inchina ai primi ruggiti del traffico. Un uomo giace in fondo a una poltrona, con la mano su un libro. Nella penombra, una bava di vento sfiora le tende. Una zampa inchioda una pantofola; un ringhio prolungato si smorza in uno sbuffo.

«Buono, Lupo; niente paura: non è ancora il momento di andare.» La mano lascia cadere un biscotto. «Peccato. Non ho fatto in tempo a farti diventare un lupo di mare.»
L’uomo spegne l’abat-jour, strizzando le palpebre; lo sguardo scava nel vano del balcone. Luci di paranze galleggiano nelle tenebre. Sentori di sale e di alghe alitano nella brezza antelucana. Le sagome dei mobili vengono a galla dall’oscurità; da uno scaffale, libri di mare odorano di muffa e di soffitta. C’è disordine in giro: dove regna la solitudine, l’ordine abbandona la nave.
Una fitta nel petto, inattesa e brutale. Lupo si drizza sulle zampe; occhi come fari sbucano dal nulla. La coda spazza il pavimento.
«Forse ho parlato troppo presto.» sussurra l’uomo, rilassando il torace; poco per volta, il battito torna normale. Il cane gli poggia il muso sulle ginocchia; una mano lo gratta in mezzo alle orecchie.
«Voglio raccontarti una storia che ho riletto stanotte: pescando dalla spiaggia, un pover’uomo cattura un tritone che porta il suo stesso nome. Il pescatore si impietosisce, e rimanda l’uomo di mare dai suoi figli. Il tritone allora torna a trovarlo con le mani piene di gioielli, e gli fa esplorare il mondo degli abissi. Sono di razze diverse, ma diventano amici.»
Un’altra fitta, stavolta dietro lo sterno. Il cane uggiola, piano.
«Lo so, è soltanto una fiaba, Lupo, ma somiglia alla nostra storia: tu sei l’Abdallah di terra, e io quello di mare. Saresti stato un gran marinaio, lo sai? Lupo, Comandante in seconda.»
Da una tasca di cuoio appesa al bracciolo, l’uomo prende un binocolo e inquadra il primo lucore del giorno. L’approssimarsi dell’alba inizia a delineare l’orizzonte, oltre gli scogli, ma non è ancora abbastanza per i suoi occhi. Ora il suo cuore e i suoi pensieri viaggiano di conserva, senza sussulti.
Poggia il binocolo sulle gambe e riaccende la luce. Da una foto sulla mensola, il piccolo Lupo sembra sorridergli, ritto sul castello di prua, col cappello d’ordinanza calcato sul capo. L’uomo riprende a leggere per un po’; di quando in quando chiude gli occhi, fermandosi a ricordare.
«La mia principessa era bella, Lupo, come la moglie del Re di Persia. Mi amava, per questo l’ho lasciata andare.»
L’abat-jour si spegne ancora. La mano scivola oltre il bracciolo, a indovinare la sagoma di un telefono. Ogni notte, le dita sfregano piano quella lampada magica, avanti e indietro, evocando uno squillo; invano. Ogni notte, l’uomo cede alla tentazione di chiamare per primo. Ogni notte, qualcuno sembra mettersi in ascolto, senza rispondere.
(Continua…)

Foto di Pezibear da Pixabay

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