Tocca ferro

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Avanzano titubanti.
Si guardano attorno impacciati.
I movimenti sono meccanici, si muovono a scatti, come robot.
«Vado o non vado? E dove vado?» E mentre decidono su cosa fare cercano di scorgere il volto di qualche parente. Sono i partecipanti al funerale. Alcuni si fanno la croce con la mano sbagliata, altri invertono la sequenza: il Padre diventa Spirito, il Figlio si fa santo e altre combinazioni personali. Elargiscono condoglianze a manco e a dritta con imbarazzante generosità, per poi apprendere successivamente di non aver beccato alcun parente del defunto. Poi guadagnano l’uscita. Finalmente fuori, all’aria aperta, iniziano i dialoghi, stando bene attenti a modulare la voce che deve essere sussurrata, quanto basta a creare quel brusio che tiene compagnia mantenendosi discreto. «No, ancora non ci credo, stava così bene…» Per la cronaca, il poveretto era macinato, come la carne delle polpette. «Così, all’improvviso…», aggiunge qualcun altro (in verità aveva patito le pene dell’inferno durante la sua prolungata agonia). «Pace all’anima sua, era proprio una gran brava persona».
«Se ne vanno sempre i migliori».
«Tant’è, siamo di passaggio su questa terra». E così via…
Su “pace all’anima sua” e “siamo di passaggio su questa terra” ci siamo, ma su “se ne vanno sempre i migliori” ci sono forti perplessità: il trapassato era un mezzo delinquente, se non intero.
C’è uno che manda le condoglianze per conto terzi in quanto lui è solito non partecipare ai funerali poiché non gli piace. «Che fesso che è», verrebbe da dirgli, «è così bello andarci, non sa che si perde. No, è sicuro, io vado perché si mangia, si canta e si balla».
Ci sono stati mestieri di una volta che oggi fanno sorridere. Si narra che ai funerali chiamavano gente a piangere. Ma non è una legenda, è un dato di fatto.
In un tempo più o meno remoto c’era scarsità di relazioni umane e si pagavano persone per creare un’atmosfera di dolore adatta alla circostanza, che figura ci facevi se neanche da morto la gente veniva ad onorarti?
Oggi e sempre piangiamo per ciò che è stato e non sarà più. Abbiamo voglia di scaricare la tensione, trovare il lato ironico per esorcizzare la morte. Dispiace la dipartita di un povero cristo, che ci appartenga o meno, si tratta pur sempre di una proiezione di quello che sarà nel momento in cui toccherà a noi.
Il prete si spertica in lodi e tu guardi quelle quattro tavolette pagate a peso d’oro, perché qualcuno dovrà pure fare il lavoro sporco, quel mestiere che è come gli altri solo per chi ci è abituato. Se ne accorge il becchino che passa in quel momento nei paraggi in cui sostano un uomo e un ragazzo: il primo tocca ferro, il secondo altro, questione di età. Intanto ti guardi attorno con il dubbio che abbia sbagliato funerale perché è sicuro che quelle lodi non possano essere per quello. Ci sono due tipi di angosce, quella vera e quella simulata; con l’evolvere della giornata entrambe diventano normali. All’imbrunire la leggera nebbiolina che accompagna la sepoltura suggerisce che è tempo di tornare alle proprie case. I giorni successivi saranno dedicati alle pratiche e all’eredità, di quell’eredità che non viene menzionata al funerale o per sincero dolore o solo perché pare brutto.
Cala il sipario su una giornata che ci rende tanto più consapevoli quanto più poveri. Ma in fondo scopri che il diavolo non è poi così brutto. Già quando dormi sperimenti una specie di morte.
Siamo comparse di una commedia bella e complicata. Nel mezzo c’è chi prova ad amare e a sorridere. E a volte ci riesce pure. Qualcuno ha detto che non devi aver paura della morte perché se ci sei tu non c’è lei e se c’è lei non ci sei tu. Se proprio dovranno piangerti, che ci sia in prima fila il becchino partito giovane e fattosi vecchio nel frattempo, vorrà dire che hai vissuto fuori della norma.
E allora, tu che finora hai provato il dispiacere di piangere gli altri, e non per mestiere, vivi la vita in modo che chi verrà a piangerti quando la campana suonerà per te troverà lo spazio per sorridere ricordando i tempi belli.

Foto di Malsawm Tunglut da Pixabay

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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