Ernesto “Licinius” Di Muccio

Ernesto Di Muccio
Ernesto Di Muccio
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Chi riesce a regalare emozioni attraverso la valorizzazione del territorio e nel rispetto della vita in tutte le sue forme assume sembianze regali, più di un imperatore.
Io c’ero, o forse no?

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«Vince il primo premio l’azienda agricola Di Muccio
Ernesto rimane inchiodato al suo posto. Trattiene il respiro a lungo fino a quando si rende conto che deve alzarsi e andare verso la giuria per ricevere gli onori del caso. Impiega un altro pezzo di eternità per capire che l’inno nazionale che si propaga a tutto volume per la sala è per lui. Quarant’anni di polizia vissuti ad accrescere la capacità di discernere il bene dal male intervallati da qualche parata, e ora che quell’inno risuona per lui non gli resta che piangere. Barcolla tra le due fila di gente seduta e giratasi nel frattempo per scorgere chi si cela dietro quel nome. Il Licinius, la sua creatura, è stato appena proclamato “L’olio d’Italia”, e se l’Italia s’è desta, come recita l’inno, lui ancora no. Gli vengono in mente senza un ordine preciso gli affetti più cari e tutti coloro che lo hanno aiutato nel percorso. «E tu non ci volevi manco venire!» gli ricorda la moglie Ida con gli occhi umidi. Sono circa 1.200 le varietà di olive nel mondo, di cui ben 700 in Italia, compreso l’antico “Monocultivar Aurina” di Venafro da cui lui ricava il prezioso olio.
Lo chiamano la sera prima. La commissione, con un sotterfugio per non rivelargli che è lui il vincitore, gli impone di andare, senza se e senza ma.
«Signor Di Muccio si sente bene?» Alla domanda del presidente della giuria vorrebbe rispondere di sì, ma non ci riesce, farfuglia qualcosa in mezzo ai denti. La verità è che non sta bene, anzi sta male, perché si può stare male anche per la troppa gioia.

***

Nuove sfide lo attendono, ma chi lo conosce è pronto a scommettere che presto Ernesto porterà la sua creatura sul tetto del mondo. Spesso gli chiedono se sia più difficile arrivare in alto o restarci. Certo è che ora sente più pressioni e, sebbene si diverta ancora tanto, a volte ha paura. Paura di deludere chi gli vuole bene, di disperdere un tale privilegio, di vanificare quel dono che il Creato ha voluto riservargli. Ma la strada è tracciata, Ernesto ha deciso di restare nella natura, è da essa che attinge forza.
Nel frattempo fa incetta di premi con in mente sempre la prima proclamazione. E vorrebbe tornare a quel momento per chiudere il cerchio: «Sì signor Giudice, sto bene, mai stato così bene». E vorrebbe aggiungere che stanno bene le persone che frequenta perché questa è la sua vera missione, l’olio è solo il mezzo per arrivare a tanto.
Mette in moto la macchina e Ida si affaccia sull’uscio: «Dove vai?» Ernesto la guarda e le risponde con un sorriso. Lei capisce subito e ricambia il sorriso.
Arriva a Venafro all’imbrunire. Le sue piante non si sono mosse, danno la netta sensazione che lo attendano. Lui le parla e loro ascoltano, e quando la brezza le accarezza hanno un sussulto che sembrano rispondere. Un ultimo piccolo raggio di sole, quello che, come dice San Francesco, è sufficiente per spezzare via molte ombre, oltrepassa le fronde rigogliose e si stampa sul suo volto rugato da lacrime e sudore. Le nuvole disegnano strane traiettorie e tra di esse Ernesto sembra scorgere le sagome di coloro che si sono consegnati all’Eterno. È per loro il suo grazie più sentito.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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