San Michele di Cassino

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Tra linde case e ulivi d’argento stiamo noi.

Laddove risplendono propaggini assolate del Monte Aquilone e si inerpicano squarci di verde a duecentottanta metri sul livello del mare, tra il tracciato del Vallone dell’Inferno e quello del Rio Saetta, si impone maestoso San Michele che schiaccia la testa al serpente nella chiesetta del paese. Siamo piccola collina a Nord-Est del comune di Cassino, strada all’occorrenza, via, contrada o frazione, spesso snc o civici sballati, banco di prova per nuovi corrieri.

Viviamo la nostra storia in qualche chilometro quadrato, in uno spazio angusto in cui non c’è posto per monumenti, strutture e visitatori, e quei quattro gatti che d’estate ci raggiungono dall’estero non sono turisti ma pezzi di noi che tornano a casa. Perché in ogni storia che si rispetti c’è sempre chi parte e lascia il piccolo paese in cui ancora si arano i campi, perché gli sta stretto l’odore della terra e pensa alla povertà e diventa vagabondo alla ricerca della felicità, come se la vita fosse una canzone. Si sa che le rondini per tornare devono prima partire, e se la speranza di tornare è intensa quanto il desiderio di partire allora sarà un viaggio buono.

Ci giungono sprazzi di democrazie, applausi di teatri, frastuoni di parate in lontananza che si perdono nel vento che qui tira forte, ma noi siamo l’eco dei nostri avi, manipolo di fratelli da sempre capaci di lottare per un centimetro di terra. Percorriamo sentieri di innocenti consapevoli che non ci sono colpevoli, perché se tutte le campagne diventassero città non ci sarebbero più campagne.

Noi siamo rifugio di briganti, ristoro di passeri e volpi.

Siamo teatro di strepitose operazione belliche, salvezza di cittadini in fuga dalla mattanza.

Siamo ruderi e intonaci scrostati dal tempo, aie intatte e villette ristrutturate.

Siamo ondate di nostalgia, ricordi depurati dal dolore, bicchieri di vino alzati all’altezza del viso, volti rugati dalla fatica, guance ramate dal tempo, dita che stringono come tenaglie.

Siamo il riverbero del sole sulle finestre, pulviscolo che si perde nell’aria, vento che accarezza il viso ma che scivola sul collo e penetra nelle ossa.

Siamo cicale e grilli che friniscono, cinguettio di uccelli, ronzii di insetti, siamo gocce d’acqua che si posano sull’erba frusciante.

Siamo storie millenarie di uomo nero, di anfratti bui e di fantasmi, siamo nomi e soprannomi, canti e giochi popolari, canzonette strimpellate per tradizione ma divenute opere immortali.

Siamo odore di stalle, di fieno e terra rimossa, siamo lo sterco che nutre la terra, diamo da mangiare alle galline e mungiamo le mucche, potiamo le viti e raccogliamo le olive.

Siamo suoni di motoseghe e decespugliatori, cani in concerto quando passa qualcuno.

Siamo camini che fumano e cannellini cotti alla pignatta, noci e melograni, pane fragrante e marmellate profumate.

Siamo orti, capre, pastori e pecore, come in un presepe.

Noi siamo il sole che spazza la nebbia.

Per molti noi non siamo perché facciamo parte di quelli che guardano il mondo senza poterci fare nulla, ma noi prima del paese abitiamo l’anima e gli esperti dicono che fin quando ci saranno le radici di ulivo a sorreggere i terreni la nostra collina mai verrà giù.

Non capiremo nulla che sia superiore al nostro livello di comprensione, e se pure cercassimo di capire e studiare come migliorare, come pensare positivo, la verità è che abbiamo imparato sulla nostra pelle a essere noi stessi.

Tutto quello che siamo è nel nostro cuore,

ciò che saremo è nelle nostre mani.

Il profumo della terra sale fino alle narici

si mischia all’odore di pomodoro fresco

Una mano stringe una margherita l’altra la sfoglia

Una dieci cento voci gridano intorno a un tavolo con le carte

Nella notte gli animali reclamano il loro spazio

Una voce ti chiama

Sei lontano dal frastuono della civiltà

Poggi i piedi sul prato verde e tendi lo sguardo al cielo stellato

Sei come il mendicante che accetta il mondo che viene

Devi crederci se vuoi vedere il mare

nel cielo terso tra nuvole e gabbiani

scorgi le ombre nello squarcio del tempo

e se fissi il sole

gli occhi tuoi bruciano

poi restano umidi

per un attimo

come la battigia quando si ritira la spuma.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

Una risposta

  1. Bruno Neri ha detto:

    GRANDE BRUNO!!!! Confermo tutto ciò che dici. ……”Siamo quel che siamo” Perchè siamo NOI STESSI SAN MICHELE!! Puoi viaggiare per il mondo intero, ma nella nostra ANIMA, RIMARRA’ sempre “SCOLPITA SAN MICHELE”!!!!

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