Racconti un po’ folli
tu sei

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Volevo parlarti di ciò che è successo e dirti e informarti dell’accaduto, ma poi sorpreso ero senza parole nel vento, sotto la pioggia privo di un ombrello, sotto il tuo balcone sprovvisto di una scala o di ali, senza la forza per arrampicarmi ancora per salire da te, da te incontro ai tuoi occhi porgendo le mani alla presa e offrendo le guance a una carezza.

Sono rimasto, anzi rimasi, così a lungo in quella strada stretta stretta sulle mie ossa, senza sbocchi all’apparenza, così cupa tra le case in cui serpeggia. Mendicavo cencioso con passo sbilenco, un gesto, un segno, un numero sul portone che potesse simboleggiare l’arrivo di un lieto avvenimento.

Ho creduto, anzi credetti di aver scoperto qualcosa che non fosse mera ambizione. C’erano tantissime gocce in quel mare di pioggia, come se l’oceano si fosse capovolto all’improvviso con il solo scopo di sommergermi spazzandomi via dalla tua strada.

Mi dissero che pazzo non avrei ottenuto rispetto, che ogni salita ha una inevitabile discesa, che ogni sogno è pura illusione e ogni camera viene chiusa dalla sua porta. E se mi sono fatto grande solo nelle intenzioni, forse questo pianto di rammarico e sconforto è fatto di pioggia, di mare e di tempesta. E ancora qui sotto, quando alzo lo sguardo, cerco un lume alla finestra, un’ombra sulla parete che tratteggi almeno in bianco e nero la tua fisionomia.

Ci sono stati tanti attimi che sono divenuti anni, istanti così intensi che hanno rapito la giovinezza in cui entravano con violenza. Quando un cuore si lacera poi cicatrizza la ferita, ma se troppe sono state inferte, diventa duro di cristallo e quando poi cade si spezza in troppi piccoli frammenti e muore. Ero convinto, mi convinsi, ero sicuro, quasi lo giuro, che fosse successo anche a me, e non credevo possibile rinascere al sorriso se ogni notte finivo più sotto del sotto che potevo immaginare bagnato fradicio di paura, quell’invadente timore di stare sempre più male, quel pianto che insinua ogni proposito di ricominciare.

Passavo spesso davanti al tuo portone cercando con occhi disattenti qualcosa che fuggiva dalla mia attenzione schivandomi dietro un angolo, voltandosi al mio sguardo, fingendo indifferenza mentre indagavo un po’ dappertutto. Fantasticavo nei quadri confinandomi nelle cornici, nelle storie di altri, su chi mi serviva la colazione o incrociava il mio passo; in realtà non sapevo proprio dove guardare. Ovunque, mi dicevo, in qualsiasi momento, eppure non ci credevo per davvero.

Mi riempivo di se… come se potessero avere un valore; costruivo fantasticherie che legavo assieme con gli e… e poi rimanevo disatteso, perduto e amareggiato; e ritornavo al tuo portone senza più il coraggio di bussare oltrepassando la soglia per salire le scale, tutte quelle necessarie, tutte quelle su cui sono caduto per iniziare nuovamente dagli stessi gradini.

Quando cade la pioggia noto subito le prime gocce scendere diritte, le altre seguono il corso piovendo sul bagnato e confondendosi al pianto di qualcuno che sotto l’acqua chiede, impreca e grida di dolore… colme le nuvole sature di sogni infranti.

Così abbandonavo il mio corpo sotto il tuo balcone come appoggiato a caso sulla parete di un muro, come fosse arredo di quella strada che finiva sempre nello stesso punto con il naso all’insù e gli occhi bassi di speranza e colmi di attesa, ma il mio spirito lì presente rimaneva statuario e impresso nell’aria così deciso a non arrendersi da creare un vuoto in mezzo alla via, una presenza invisibile che tutti passando evitavano avvertendola insuperabile.

Perché senza te sono niente o quasi, niente che valga la pena. Perché il tempo che scorre come sangue nelle vene segna goccia dopo goccia la tua lontananza, e se sanguinare l’attesa non basta, rimango scosso, come inebetito, rimango privo di ispirazione e le parole sono incise nella pietra di un dolore pesante che affonda me stesso altrove, così distante.

Per questo ripercorro la stessa strada dopo tutte le volte che mi sono perso, che ti ho ferita e allontanata sprofondandoti nel mio egoismo mentre cercavo di possederti ritagliandoti a misura della mia pochezza.

Non abbandonarmi da solo qui sotto, così vicino eppure distante, come fosse il segreto dell’universo poter spiegare il nostro sguardo, il nostro crescere, gioire e soffrire, il nostro appassionato bacio con la Vita e con la Morte.

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