La mostra che mostra

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La Personale di Pittura di Rodolfo Losani, inaugurata sabato 27 maggio nello Spazio Pentacromo in via Rossini 14 a Cassino, è stata un successo. Ma chi conosce l’artista non aveva alcun dubbio, in città è stimato e apprezzato da sempre; con alcuni amici colleghi cura, tra l’altro, la Bottega delle Belle Arti. Vogliamo cogliere l’impatto che la mostra ha avuto tra i numerosi visitatori e il messaggio che resta. È evidente che il vissuto, le certezze e le speranze di Rodolfo siano tutte racchiuse nelle sue opere. Artista schivo e avaro di parole, rimanda tutti i discorsi alla tela, a essa riserva ogni delega sociale. Ci piace concentrarci sul profilo umano, lasciando l’analisi delle sue opere ai critici d’arte. Lo immaginiamo dietro l’angolo, dove non lo vede nessuno, alla ricerca della verità. E la soluzione è proprio dietro quell’angolo, il suo. Lo vediamo ragionare con calma, la tela è solo un dettaglio. Lui ha quel filo che lo accompagna in tutte le opere, gli traccia la strada. L’ha voluto denominare Philos il suo evento, un nome che evoca sentimenti ancestrali di amore, di sapienza. È il suo filo, come lo conosciamo noi, che diventa azione, leggera ma fissa. Non è avventato Rodolfo, e mai lo sarà. Riesce a fare con il pennello ciò che noi dovremmo fare con le parole, ma le parole non riescono sempre a spiegare ciò che l’occhio vede e quanto il cuore batte. Lo scopriamo emozionato, a tratti imbarazzato sotto i riflettori, con la moglie Tiziana e i figli Francesca e Maxim. Deve molto ai suoi cari, e lui non fa niente per nasconderlo. Il passato si mescola al presente e pone le basi per il futuro. Ci sono colori e certezze, ma anche dolore e preoccupazione. E la nostalgia, tanta nostalgia. E menomale diciamo noi. Perché la nostalgia non è nient’altro che un ricordo depurato dal dolore e il vissuto sarà sempre un pretesto per generare altra nostalgia. E le sue tele suggeriscono di vivere appieno il nostro tempo. E questo è forse il senso della sua mostra. Rodolfo è il primo lui a voler capire, per cui è disposto ad accollarsi il “lavoro sporco”. Ci restituisce infatti un’opera finita, allo stato puro; un’opera che non si deve interpretare ma è lì presente, alla portata di tutti, anche dei più pigri. Questa è la sua grandezza, il non nascondere nulla, mai un tentativo di complicare le cose, una semplicità estrema e un’umiltà che rasenta l’impossibile. Se non c’è nulla da nascondere, c’è poco da scoprire. Nel donarci la sua intimità, Rodolfo ci lascia decidere da che parte stare, con la certezza che le sue opere sono destinate all’Eterno da cui provengono. I bravi relatori, i critici Tommaso Di Brango e Antonio Risi e l’amico di sempre Danilo Salvucci, aggiungono testimonianze e note di colore servendosi di versi e fonti storiche, ma ribadiscono che le opere di Rodolfo vanno semplicemente gustate in silenzio, come si gusta un’alba o un tramonto: su pareti bianche sottratte all’oblio, si diramano trame che evocano concetti di libertà, senza orpelli. Il saluto iniziale del presidente Michele Lanni e il brindisi finale suggellano un evento unico e irripetibile, l’arte che si rinnova nell’amicizia. E allora che sia un nuovo punto di partenza e che la nostalgia possa creare benefici per la città intera; le premesse ci sono, come pure menti e idee. Non perdiamo il filo!

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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