La storia (s)coperta

Croce nel cimitero
Croce nel cimitero
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Da ex secchiona, ogni anno in questo periodo mi fermo a pensare e mi rendo conto che la mia cultura storica non è completa. Manca qualcosa, eppure i miei studi sono terminati con gli eventi del 1985.Poi negli anni 2000, s’inizia a parlare di Foibe, esodo di Pola e di eventi legati agli anni che vanno dal 1943 al 1945 circa e mi rendo conto che non li ho studiati, non c’erano sui libri di storia.

Questa lacuna è stata riempita nel marzo 2004 quando con una legge è istituito il giorno del ricordo, nel 10 febbraio, a testimonianza di ciò che avvenne in quegli anni. Non voglio scendere né in meriti storici né in polemiche politiche, voglio solo invitare molti a documentarsi su quei fatti che hanno coinvolto 350.000 italiani che abitavano l’Istria, la Dalmazia e Fiume, territori che in quegli anni appartenevano alla nostra madre patria.

Molti di loro sono morti nelle cavità carsiche di quei terreni chiamate foibe, nel modo più atroce per mano dei Titini (i soldati jugoslavi di Tito) con la sola colpevolezza di essere italiani. Altri sono fuggiti e il simbolo del loro esodo è Pola (un comune dell’Istria, oggi in territorio croato) dal cui porto partirono molti italiani, verso Venezia, portando con loro perfino i telai delle finestre. Nel loro cuore c’era la speranza di ricostruire in Italia le loro case e ricongiungersi con i familiari che erano andati altrove.

E’ una fuga non facile, non sono accolti bene ma come per eventi passati la città di Roma li accoglie; infatti, nella città Eterna non c’è solo il Ghetto, c’è stata anche una zona dalmata, dove questo popolo si è insediato a Tor Pignattara e la Cecchignola. Sono arrivati anche a Gaeta e Latina, la maggiore solidarietà l’hanno trovata nei loro simili, in quegli italiani che erano stati sfollati perché a differenza degli istriani loro avevano fatto ritorno nelle loro case.

Nel 1959 il Vescovo di Trieste prega per le vittime delle Foibe sostenendo che il Calvario di queste persone indica che la via da percorrere è una sola: quella della pace.

Antonella Branca

Sono nata qualche annetto fa, cresciuta in un piccolo paese ricco di storia e tradizioni, a pochi passi dal mare, dove tuttora fuggo appena possibile. Ho frequentato la biblioteca del mio paese e sono cresciuta con lei, nel 2004 insieme con alcuni compaesani abbiamo fondato un’associazione culturale e creato un piccolo giornale a diffusione gratuita dal titolo “Sciuccaglie”. Sempre in quell’anno con un gruppo di amiche ci siamo occupate del nascente Museo della Pietra e siamo state formate per essere guide turistiche. Appassionata di seggi elettorali e politica, nel 2005 ho svolto un percorso universitario per l’accesso delle donne in politica e nelle istituzioni; lì mi sono innamorata della storia delle donne e della condizione femminile. Ho partecipato, dietro le quinte, a un progetto sulla guerra e le violenze di quel tempo. Nel 2010 ho creato un blog tutto mio, dove raccontare di viaggi nelle tradizioni popolari, nelle ricette italiane e della cucina povera. Ho scritto storie d'amore e di amicizia, e altro ancora. Scherzosamente mi definisco un po' giornalista, un po' food blogger, un po' storica. Ma sognatrice, romantica e solare; schietta, diretta e determinata.  Cerco di trasmettere i sentimenti che catturo nel mio vivere quotidiano, spesso con ironia dico: "Sono una scrittrice, qualsiasi cosa tu dica o faccia può essere utilizzata in una storia". Ho partecipato alla prima edizione del premio letterario “Veroli Alta”, con il testo C’era una volta il paese di pietra, nel 2013 e sempre in quell’anno ho scritto il mio libro auto-prodotto, non in vendita perché è la mia bomboniera di nozze; dal titolo “IL SAPORE DEI RICORDI”. Ho collaborato con varie realtà e dal 2016 con immenso piacere scrivo per voi di tantestorie.it.

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