Clarisse e Allegrece
di Rino Tarallo
I canonici 9 mesi trascorsero senza il minimo sussulto, del resto nulla faceva presagire chissà cosa. 19 marzo festa del papà e io divento padre di una bimbona di 4,5 kg.
Una buona bottiglia col fido Dicio, amico vero, e a letto tutto pareva perfetto. Tutto perfetto almeno fino alla mattina dopo quando il primario mi spiegò del “leggero” problema che la bimba presentava, che poi tanto leggero non si rivelò.
Così fui catapultato dalla felicità all’autostrada inseguendo l’ambulanza che portava mia figlia al Bambino Gesù. L’intervento stimato in 2/3 ore durò più del doppio. Non scorderò mai il volto, madido di sudore al limite dello stravolto, di quella donna medico che ridiede, nel vero senso della parola, la vita a mia figlia. L’intervento si rivelò complicatissimo ma dall’esito positivo e risolutivo.
In una stanzetta per 2 tra paure e speranza iniziava la degenza di Eva. Trovammo l’altro letto occupato da uno scricciolo venuto dal Congo, una bambina di 8 anni affetta da una grave patologia e che, nonostante la sofferenza, non aveva smarrito quello splendente sorriso dal bianco accecante che solo gli africani sembrano possedere.
Ad accudire quella magrissima bimba c’era mamma Clarisse donna fiera e di poche parole che poi scoprimmo essere un’infermiera di Kinshasa.
Io stordito dalla situazione non potei non ammirare, come del resto mia madre, la forza e l’orgoglio di questa donna dall’efficienza di un intero reparto ospedaliero. I primi giorni cercavo, riuscendoci a volte, di far sorridere la piccola Allegrece.
Clarisse intanto non ci degnava di uno sguardo, ma inevitabilmente, complici sconforto e solitudine, in qualche modo ci avvicinammo. Tra 1 panino e 1 caffè nacque qualcosa che era più di una semplice amicizia dovuta dalle difficoltà che vivevamo.
Clarisse divenne il nostro punto di riferimento, fu la prima a prendere in braccio Eva, la prima a nutrirla e cambiarla insegnandomi come fare. Passarono i giorni era evidente che Eva era salva, ci salutammo con la promessa di rivederci.
Poi, fra traslochi, il tran tran della vita quotidiana e la lunga decenza di Allegrece ci perdemmo di vista per qualche tempo. In maniera del tutto inaspettata come se Dalton Trumbo si fosse messo a sceneggiare solo per noi ci rincontrammo fra migliaia di persone a Roma durante una manifestazione per il diritto alla casa. Mi raccontò che viveva col marito (il nostro gigante buono) Jean Claude e i 2 figli in occupazione.
Sorrisi, abbracci qualche lacrima. Ci eravamo ritrovati questa volta per non lasciarci più.
Ci rivedemmo 1 anno dopo al Bambino Gesù per piangere la piccola Allegrece, troppo debole il suo cuore troppo grande il nostro dolore.
La pelle nera esaltata da un vestitino bianco avorio, l’ultimo bacio e la seppellimmo al Verano gettando terra sulla piccola bara bianca come si usa in Congo.
La tragedia rafforzò ancor più la nostra unione, passammo uno splendido Natale insieme ad una radiosa Clarisse che ci annunciò dell’arrivo della piccola Serena. Aspettammo la notizia trepidante e dopo qualche mese squillò il mio telefono era Jean Claude che col suo italiano stentato ci annunciò che Serena era nata e stava bene.
Eppure la sua voce tradiva qualcosa, difatti con la voce rotta dal pianto mi confidò che Clarisse, la nostra Clarisse, non ce l’aveva fatta. Quello stesso organo vitale che ci aveva uniti rafforzati nel dolore l’aveva tradita a 36 anni per l’ultima volta.
Mentre ascolto “sleeping with the ghosts” vi saluto mama Clarisse e piccola Allegrece i vostri volti sono ritratti nella nostra scuola per i senza tetto… a presto.