Vorrei

vento tra i campi
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Di cosa avrei bisogno per essere felice?
Non ricordo nemmeno più gli elenchi stilati di mio pugno come fossero qualcosa di importante, quando confinato in un metro non mi rapportavo con la miseria di così scarso desiderio.

Un giorno, però, spinto da un fastidio, ricercando un po’ di movimento, ho scavalcato la staccionata della banalità scoprendo quante possibilità mi smarrivano basito. Da quel momento, semplicemente, ho smesso di pensare a possedimenti puntando a qualcosa di diverso.

Vorrei essere architetto, ingegnere e scienziato per costruire un ponte che mi unisca al mio mondo interiore.

Vorrei essere astronauta per evadere da questo pianeta e nel silenzio dello spazio infinito mettermi a collezionare stelle di diverse dimensioni per poi donarle a chiunque le sappia apprezzare.

Vorrei fondermi con l’acqua, con la terra e con il mare. Essere vento che sfiora le
persone scompigliando i capelli, sussurrando parole, scuotendo i rami degli alberi dalla loro presunta immobilità.

E poi fiume correre bizzarro, come lago riposare placidamente tra i monti su cui neve mi potrei posare in quel silenzio rumoroso che ogni cristallo di me stesso risuona nell’aria.
Essere colore, rosso fuoco, giallo ocra, blu intenso così scuro che a volte sembra nero, poi grigio, marrone, verde in un prato di lillà.

E musica che tutta l’energia in ogni sua forma suona così ben orchestrata, ma solo per orecchi fini che sanno cogliere e ascoltare. Potrei essere pietra che fa
inciampare i disattenti, e scoglio che frena la furia delle onde quando non c’è parola che possa consolare, e sordi dolori che non possono sentire con occhi colmi di lacrime tutte quelle stelle, quelle luci che pulsano, vibrano, sanno affascinare.

Vorrei essere il tempo ticchettando come il frinire di una cicala, e batacchio di campana che quando vibra riporta l’attenzione. Potrei essere un salto nel vuoto da scegliere e prendere per mano o il tema di una canzone, il movimento di una danza a ritmo del proprio cuore.

Vorrei essere la conversazione sulle labbra di due persone per passare da ingiurie e pettegolezzi a vero e proprio affetto e confronto, a dialoghi che costruiscono e non irrompono. Potrei essere foglia, sabbia, riflesso diafano in uno specchio. Vorrei sapere di marmellata e croccare come un biscotto ancora
caldo di forno profumando aroma di caffè, riempiendo l’aria di dolcezza che consola riscaldando come un tiepido fuoco una giornata autunnale, e mentre una tisana si raffredda sul davanzale, divenire vapore che si disperde svanendo nell’aria.

Sarei ricordo, ombra, presentimento di qualcosa che è accaduto di recente, ma di cui quasi non c’è più memoria.

Vorrei essere terra, quella arida da cui non cresce niente, e quella grassa, buona che germoglia. Essere confine tra un deserto e una foresta, tra un insetto e il suo predatore, tra una bestia e un uomo per poi divenire Uomo, quello vero e non quello che ora siamo. Farmi grande non a parole, e divenire piccolo perché umile, allora ancora più grande senza volerlo diventare.

Vorrei vivere e morire per vivere ancora fino a quando la mia ultima morte non mi porterà a tutte queste conquiste e oltre, per Essere finalmente vero e non più sterile, semplice, meccanico pensiero di ciò che desidererei essere, ma non sono ancora mai stato.

E forse non basta, non è abbastanza saper osservare un tramonto per dire di aver vissuto davvero la giornata, ogni suo istante, ogni insegnamento che ignoro saturo di tutto e così sprovvisto di ciò che necessito.

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