V come Vanità

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L’eccessiva vanità fa appassire.

Lotti per non sfiorire, sogni e viaggi con la testa mentre sgranocchi patatine e, con le dita unte di grasso, scorri sull’iPhone le foto della tua modella preferita, sperando di avere, un giorno, quel seno che potrebbe benissimo vagare insieme a te libero, selvaggio ma armonioso, senza il sostegno di un reggipetto; quei fianchi che sembrano disegnati dalla matita attenta e scrupolosa di un artista solitario e burbero, ma perfezionista; quelle labbra esageratamente gonfie, un po’ innaturali, ma terribilmente sexy.
Controlli il tuo conto in banca con il cuore che ti pulsa in gola sperando, questo mese, di non aver speso troppi soldi in vestiti, scarpe e quelle dodici nuove creme della Lancôme, edizione limitata, che dovevi avere assolutamente.

Poi sorridi a te stessa, quasi ti canzoni, perché sai bene che non importa quanti soldi ti siano rimasti: tu, in qualunque caso, apriresti il portafogli di coccodrillo e, con le unghie ricostruite ad arte, impossibili da non notare all’estremità delle dita sottili ed inanellate, cercheresti di tirar fuori quella carta di credito color oro brillantinato, che tante volte ti ha salvata da attacchi di pianto e crisi d’inferiorità.
Il tuo nome è una leggenda: Calliope. Una leggenda ai tempi della scuola, una leggenda in paese, persino tra le vecchiette che vi hanno piantato le radici anni e anni fa, le quali amano nominarti e parlare di te, perché ciò riempie le loro giornate stereotipate, aiutandole a non cadere con la mente nel passato troppo spesso e quando non lo vogliono.

Si sa: i vecchi, più che vivere di ricordi, vivono nei ricordi della loro lunga vita. Quando accade, a volte sorridono, altre lamentano in silenzio laceranti dolori al cuore, dolori che non svelano, poiché ne sono persino gelosi.
Ecco a volte, quando non hanno voglia di ricordi lontani, parlano e sparlano di te, Calliope, dei tuoi capelli sempre in piega, delle borse griffate, dei vestiti che sembrano fatti su misura, della scia di profumo francese che emani appena entri in una stanza e che, quando te ne vai, resta impregnato persino alla parete più putrida.
E tu? Tu sei perfettamente a conoscenza della situazione e, tutto sommato, non ti fa né caldo né freddo. Non hai pensieri negativi, l’unico tuo cruccio è raggiungere la perfezione e, attenzione, non per un uomo, ma per te stessa.

Quanti commentano e fischiano, appena passi loro accanto? Inebriati dal tuo profumo, accecati da quelle curve e dai tuoi occhi irresistibilmente penetranti, grazie alle ciglia finte messe il mese scorso.

Lei era Marta. Dicevi fosse la tua migliore amica, la sorella che si sceglie, l’altra parte di te. Forse lo credevi davvero, quando lo dicevi. Le volevi bene, questo è certo. Era stata lei ad accompagnarti a Roma da quel chirurgo estetico, quando decidesti di far qualcosa per i tuoi glutei. Era venuta anche a Sabaudia, quando andasti a farti rifinire gli zigomi.
E lei, Marta, che tipo era? Di certo, non era te. Era bellissima, ma semplice; non contraria alla chirurgia estetica e ai trattamenti, ma aveva scelto di non farne alcuno, perché lei si era scelta così.
– Ciò che conta è accettarsi, scegliersi ogni giorno, piacersi così –
Ogni volta che lo diceva, tu ridevi. E ridevi di gusto.
– Come fai a sceglierti? Sceglierti fra cosa? Sei sempre stata una. Non esistono due Marte.
Lei sorrideva, guardandoti con una tenerezza mista a compassione.

A volte, non riesci ad entrare nei discorsi profondi, lo sai.

– Ci si sceglie ogni giorno, Calliope. Si scelgono i giorni in cui vuoi apparire perfetta e gli altri in cui, invece, preferisci il tuo io più profondo, un io che abita in un luogo in cui non esiste il problema delle unghie o della piega. Un io fatto di emozioni.
Di solito, fingevi di capire, annuendo con la testa e sbattendo le palpebre, ma eri consapevole che non avresti mai avuto quella sensibile vena filosofica di Marta, né eri interessata ad averla. Eravate il cielo e la terra, l’Alpha e l’Omega, il bianco e il nero, il sole e la luna, le due facce della stessa medaglia, ma unite più che mai da un bene indescrivibile.

Arrivò quel giorno d’Agosto.
C’era una palla di fuoco nel cielo azzurro chiarissimo.
Eravate andate al mare, voi due. Ricordi che, mentre Marta guidava, non facevi altro che parlare del tuo bikini nuovo di Calzedonia comprato con il 30% di sconto, che ti faceva due glutei perfetti. Lei ti sorrideva serena, mentre i suoi capelli lunghi e chiari svolazzavano nell’aria che entrava prepotentemente dai finestrini abbassati; ricordi che si moriva dal caldo e, malgrado di tanto in tanto sbruffassi a causa della piega ormai andata causa vento, eri felice.
– Destinazione San Felice Circeo? –
Marta ripose con un cenno della testa, continuando a sorridere. Durante quel viaggio, parlò poco, come se avesse avvertito qualcosa di strano: un presagio, un’emozione scura e strana, una di quelle che i personaggi buoni provano nelle favole cattive, che fanno male al cuore.
Scelto il posto più bello, scendesti dall’auto col fuoco più scoppiettante, vivo e maestoso negli occhi, quello della vanità. Avresti potuto farti scattare delle foto bellissime, degne di esser pubblicate nelle riviste più IN della moda londinese; avevi già posizionato, sui sedili posteriori, i tuoi parei preferiti, i più colorati e graziosi che avevi nel ‘reparto mare’ del tuo armadio a cabina.

Mettesti le mani nella tua maxi bag verde acqua con l’energia e la genuinità tipiche di una bambina eccitata, per accertarti di aver portato con te la pochette con i trucchi, indispensabili per gli scatti al sole.
Marta, nel frattempo, era scesa dall’auto e, con sguardo profondo, guardava l’immensità di fronte a lei.

Non saprai mai, Calliope, cosa stesse pensando in quel preciso istante; sai solo che i suoi occhi avevano una strana luce.

– Allora, top – model, scattiamo? –
Da quell’altura, a destra, si vedevano chiese e casette in miniatura; a sinistra, invece, il mare immenso si nascondeva dietro la sua calma apparente, piatto come un tappeto azzurro, fintamente silenzioso come un grido che ti esplode nell’anima.
Prendesti il rossetto Chanel e, con attenzione, in pochi secondi, le tue labbra diventarono rosso rubino. Regalasti un bacio prima allo specchietto tondo che tenevi in mano e poi a Marta. Un sorriso alla tua immagine, una piccola rifinitura artistica all’angolo sinistro della tua bocca, un altro sorriso, un’espressione sconcertata, un’altra seria, un’altra ancora triste e, finalmente, ti alzasti con un saltino procace e ammiccante, tipico di una Pin – up.
– Eccoci! Marta, però devi assicurarmi che ci faremo delle foto insieme… dei selfie! Prometti –
Non sembrava tanto propensa a voler accettare. In fondo, non si era preparata. Non che stesse male, tu lo sapevi, ma era semplicemente Marta.
Insistesti.
– Ti presto il rossetto e il pareo arancione! Dai! –
Ti sorrise come quel giorno non aveva mai fatto.
– E va bene. Ma massimo due o tre, ok? Ora pensiamo a te e inizia a metterti in posa – .

Non sai bene quanto tempo passò.

Ricordi, tuttavia, l’orgoglio, l’eccitazione che ti percorreva il corpo dal basso, sino a farti esplodere di adrenalina, come il più intenso degli orgasmi. Ma ricordi anche la tua delusione quando, saltuariamente, in qualche scatto non uscivi bene e allora, con Marta, eri persino dura con le parole… – per smuoverla e caricarla un po’ – dicevi.
Non pensavi, Calliope, che potesse essere normale?
Non immaginavi, in quei momenti, che anche la top – model più figa del mondo può venir male, in qualche foto? Non eri una dea immortale

Non lo sei nemmeno ora. Sei una donna forte e fragile, egoista e sensibile, terribilmente vanitosa, ma non immortale. Lo sai, perché inizi ad avere le rughe. Lo sai, perché su quel collo, una volta liscio e longilineo, ora ci sono dei segni che nemmeno il miglior chirurgo può cancellare. E fingi di dilettarti, quando acquisti foulard costosi e pashmine colorate, per coprire ciò che non ti piace. Ma tu reciti, perché non ammetti che non si possa far nulla. Tu, che hai sempre fatto tutto.
Ti siedi davanti allo specchio e ti porti una mano al viso. I tuoi occhi, in questo momento, sono così profondi e sofferenti, contornati da tre lineette alle estremità, che se colui che sta leggendo queste righe potesse vederti, non le prenderebbe sul serio.
Eh sì, Calliope. Tu hai emozioni. E quelle stesse rughe lo provano. Hai lo stesso fascino di un castello abbandonato in una foresta sconosciuta e il bello è che ora tu non lo sai.
Già, Calliope. Tu ti senti abbandonata da te stessa. E se pensi a quel giorno, vorresti morire.

Quei maledetti selfie hanno rovinato tante di quelle vite!
Quella stupida idea.
La tua idea che non ti dà pace.

– Vieni, Marta, non fare la fifona! Da qui c’è una luce migliore – .
Su quali basi pensasti di insistere? Perché costringesti Marta a salire su quella pietra, in prossimità di quel dirupo?
– Sali, sei troppo bassa e non esci bene nello schermo –
– Sì, ma diamoci una mossa, sta già facendo buio e dobbiamo tornare a casa –.

Piccola, grande Marta. Era sempre stata saggia.

Avvicinasti la guancia alla sua verso lo schermo del cellulare, protendendo le labbra come se volessi regalare un bacio a qualunque persona avesse visualizzato sui social questa foto. Ti sentivi invincibile: in quel momento, amavi la tua bocca e ne andavi fiera.
Notasti che il ciuffo chiaro che sfiorava l’orecchio di Marta avrebbe potuto solleticare poeticamente anche quell’angolo del tuo viso dove hai quel neo marroncino a forma di cuore che ti rende unica; ti avvicinasti, quindi, alla tua amica senza respirare, senza parlare, continuando a sorridere e a contemplare quell’immagine sullo schermo dell’iPhone.

Chissà se anche Marta stava sorridendo?
Non lo saprai mai.
Troppo occupata a guardare la tua immagine. In fondo, che sarebbe importato se Marta fosse venuta un po’ male? Dopotutto, lei non teneva affatto all’immagine.
Guardavi te stessa, il grande amore della tua vita del quale, tuttavia, non conoscevi nulla.

Fu un attimo.
Il tuo nome quasi sussurrato da quelle labbra fine senza rossetto.
Un movimento brusco e veloce.
Il terrore in quegl’occhi chiari.
Il tuo sguardo sorpreso.
La tua mano inutilmente tesa.
La tua voce acuta mescolata a quella mozzata di Marta.
Poi, l’abisso.

Non dimenticherai mai più queste cose.
Non dimenticherai mai più quei capelli che in un millesimo di secondo hanno danzato con il vento davanti ai tuoi occhi.
Era una danza violenta. Una di quelle che si fanno durante i riti malefici.

Marta se ne andò così.

Ti ha lasciata da sola.
Cosa ti è rimasto, Calliope? I pettegolezzi delle vecchiette, i loro occhi un po’ animaleschi, scrutatori e straripanti di segreti che tali non resteranno.
I commenti poco delicati di quegli uomini nati e cresciuti qui, in questo tuo paese che tanto detesti, ma dal quale non riesci ad andartene; il loro sguardo che ora ti deturpa, il timbro di voce di chi crede di avere tutto nelle proprie mani grandi, ruvide e a volte spietate.
Continuerai ad amare solo te stessa?
Hai smesso di farlo?
Ti spazzoli i capelli nella penombra della tua stanza da letto. La vestaglia di seta bianco perla fascia perfettamente un corpo dimagrito troppo in fretta.
Vorresti tanto tornare indietro.
A volte, ti chiedi se ti abbandonerà prima la vanità o i rimorsi.
Sei sola, Calliope.

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