Una bambina sola

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Aveva una stanza piena di giocattoli. I nuovi rimpiazzavano i vecchi affinché tutto fosse sempre pulito, ordinato. Non faceva a tempo ad affezionarsi. Anche i libri se ne stavano tutti in fila, sistemati per colore, nella piccola libreria. Ogni tanto poteva prenderne uno, trattandolo con estrema cura, facendo attenzione a come girare le pagine, evitando le orecchie. Ci passava le ore in quella stanza, preparando il tè per bambole che non erano mai le stesse, mettendo una sull’altra le costruzioni in modo che non cadessero e facessero rumore o che, peggio, qualcuna finisse dimenticata sotto qualche mobile. Poteva disegnare, attenta a non sbagliare i colori (che le foglie degli alberi fossero sempre verdi e il sole giallo!) e a rimettere il tappo ai pennarelli. Poteva cantare, ballare, ma con moderazione e, soprattutto, smettere appena le si diceva di farlo. Ogni cosa aveva il suo posto e il suo momento.

Nella stanza stava sempre sola, mai un’amichetta che poteva sconvolgere l’ordine delle cose e il silenzio necessario alla pace familiare. Aveva un padre e una madre che lavoravano, fuori e dentro casa,  ed erano troppo impegnati per giocare con lei. E lei sapeva benissimo come comportarsi.

Un giorno qualcuno (forse la nonna?) le regalò un libro, pieno di figure e di parole. Lei le parole non le sapeva leggere ma faceva che sì e si inventava storie meravigliose. A metà del libro c’era una barca grandissima, che prendeva le due pagine, con tante vele spiegate che sembravano mosse dal vento. Il mare era di un azzurro profondo con onde leggere sotto un cielo che si perdeva nell’infinito.

La bambina entrò in quella barca, senza portarsi nulla, e se ne andò lontano. Felice.

La stanza ora era vuota ma ci volle un po’ di tempo prima che qualcuno se ne accorgesse.

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