Tra silenzi e parole
Avrei voluto salutarti prima di partire, ma eravamo tutti così presi e occupati da perdere l’occasione di un abbraccio. Stringevo con apprensione in una mano la maniglia di un borsone con
dentro così poco valore per un bagaglio importante da portare sempre appresso. Nella testa idee
bizzarre riempivano gli spazi di quel silenzio che inseguo spesso cercando di non cadere.
Comunque cado lo stesso. E poi ci sono misure e distanze che mi trattengono, mi spingono
strattonandomi. In una folla opprimente mi deprimo. In un corridoio di passi smarrisco le impronte
di troppi sentieri imboccati senza giudizio, così tanto per provare. Dove mi conducevano spesso non
saprei dire. A perdermi, questo sì, a smarrirmi in certi orizzonti bui perché è tetra la notte quando si spegne l’ultima candela. Soffi la fiamma esprimendo un desiderio, l’ennesimo, un altro buco nel vuoto. Non ho mai capito realmente di cosa davvero avessi bisogno.
Ho chiesto molte volte scusa, ma mai credendoci veramente. Ho sorriso, parlato, finto di essere
qualcuno cercando di non perdere completamente la testa in un labirinto di parole e gesti e fatti contraddittori. Avrei voluto solamente salutarti occhi negli occhi, questa volta senza abbassare lo
sguardo per una punta di vergogna o per la solita paura di sbagliare ancora e ancora una volta senza
capirci niente. Avrei voluto averti tenendoti a debita distanza. Come fossi una sorta di minaccia per
quello che saresti potuta essere o che già eri o che immaginavo saresti comunque diventata. E in
questo labirinto dovevo ritrovare la strada e riprendere il cammino.
Volevo andarmene, ovunque, comunque, distante anni luce pur rimanendo a pochi passi. Anche mano nella mano la distanza era un abisso con un unico sottile traballante ponte sospeso come le parole tra due silenzi incolmabili dall’incomprensione. Forse mi hai pure amato in quell’istante che
precede la caduta con un crollo come un peso che schiaccia il cuore rapendo il respiro e
costringendo gli occhi alle lacrime per non bruciare. Ma non ero certo io ad avere così tanta importanza in un mondo in cui ognuno di noi si mette in fila per elemosinare qualcosa che non si
può avere così centellinato, ma “o tutto o niente”. È sempre così ciò che vale. Poi lo spazio che
devasta dentro misura lo sconforto che rimane a nauseare ogni gesto successivo nella giornata.
Ed eccomi ancora a non sapere che farmene di questa valigia piena di cosa? Di vuoto? Di
speranze? Di sogni e di cassetti. Di panni sporchi indossati per dovere sotto i ricatti di una vita
stretta stretta su di un corpo che invece di tramite diviene prigione.
Avrei voluto stringerti forte forte e ancora più forte. Perché semplicemente non l’ho fatto?
Ti volti e prendi la tua strada, qualunque essa sia ti guiderà al tuo destino passo per passo, ogni
attimo che ci è concesso per imparare da ogni nostra follia. Ti guardo come fossimo in una stazione
fatta di binari, di arrivi e partenze tra le persone nella strada; ti guardo dall’alto, da una nuvola sospesa a mezz’aria, da sotto e da ogni lato. Ti guardo per non scordare così presto tutto ciò che tra
noi è stato, e rimango qui seduto ad aspettare con sempre una valigia appresso piena di anni e di
inutili pensieri che non hanno risposte da regalare.