Il figlio del fornaio

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Io lavoro quando gli altri dormono”, disse il fornaio.
“Anche lo scrittore”, rispose il figlio prontamente. Il fornaio lo scrutò da capo a piedi in attesa di chiarimenti. “Vedi papà, io e te siamo simili ed entrambi indispensabili, tu nutri il corpo con il pane dorato e fragrante e io nutro l’anima con tante storie”. Il fornaio era più che perplesso, e se in passato aveva pensato che quello che aveva di fronte fosse un dono di Dio, adesso invece era disposto a credere che fosse uno sbaglio della cicogna. Il fornaio lavorava quindici ore al giorno. Quindici ore dall’alba al tramonto interrotte solo da un piccolo riposo pomeridiano. Riposo per modo di dire, perché qualcosa da fare a casa la trovava sempre.

Non aveva problemi economici, a quanto guadagnava aggiungeva tutto ciò che non spendeva per mancanza di tempo.  Il giorno, dopo aver consumato un pasto frugale, ricordava al figlio che era giunto il momento di darsi una regolata, così non andava bene, proprio per niente. Cominciasse intanto a dare una mano al forno. E lui, il figlio, capitava che a volte andava, ma per poco. Con ancora la farina addosso correva a casa a scrivere, la sera a lume di candela per non disturbare. Quando gli si chiudevano gli occhi andava in cucina, perché il bagno era più distante e non voleva fare rumore.

Metteva la testa sotto il lavandino e apriva l’acqua per sciacquarsi e scuotersi per scrivere un altro po’. E la mattina si svegliava con gli occhi gonfi e rossi, e anche la sua cara mamma aveva l’occasione per rimproverarlo. Il fornaio continuò a fare il pane, il figlio a scrivere. “Tanto”, gli disse un giorno il papà “potrai dire e fare tutto ciò che vorrai, ma sarai sempre il figlio del fornaio”. L’aspirante scrittore lavorava al suo capolavoro, un colpo di scena era ciò che ci voleva e poi dritto dall’editore che lo attendeva già da qualche giorno.

Lo separavano dal suo sogno le strisce pedonali sotto il palazzo della casa editrice. Il figlio del fornaio quelle strisce le percorse solo per metà: un pirata della strada ubriaco spezzò la sua vita. Era morto con la ragione, ma in paradiso non si fanno cause, non si finisce in galera e non si viene rimborsati. Il fornaio non pianse, o forse non si vedeva perché era cosparso di farina. Ciò che gli risultò facile fu l’odiare ancora di più la letteratura senza la quale suo figlio sarebbe stato ancora vivo. Continuò a fare il pane, ma il pane non era più dorato e fragrante. Dopo qualche mese fu contattato dall’editore e il fornaio andò per dovere. Vide le strisce pedonali e sulla parete del negozio dirimpetto ancora la corona di fiori deposta da qualche anima pia in memoria di suo figlio. Salì le scale ed entrò. L’editore lo salutò esternando tutto il suo dispiacere e gli chiese l’autorizzazione alla pubblicazione del libro di suo figlio. Il fornaio era distrutto. L’editore gli lesse solo la frase che apriva l’opera: “Dio può riparare il tuo cuore se tu gli dai i pezzi!” Il fornaio aveva un groppo che gli stringeva la gola. “Che titolo aveva scelto mio figlio?” trovò la forza di chiedere.
Il figlio del fornaio!”, rispose l’editore.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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