Il dolore

Croce nel cimitero
Croce nel cimitero
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Ogni giorno trascorreva uguale agli altri. Da quel maledetto venerdì, esattamente di due anni prima, per Fiamma, ogni mattina aprire gli occhi e scendere da quel letto,  significava vivere un’altra tragica giornata. Dormire era come uscire da quella vita e annullare quella tragedia. Mai, poi, aveva sognato il suo bambino. Il sonno sembrava essere protetto dagli attacchi voraci di una terribile consapevolezza: quella di aver perduto per sempre suo figlio Andrea. Il piccolo era stato investito da un’auto in corsa in un pomeriggio soleggiato di un venerdì di piena estate. Quella macchina non si era fermata e Andrea giaceva ancora a terra quando Fiamma corse sul posto, avvisata da una sua amica. Il corpicino di un bimbo di appena sei anni che, con la sua biciclettina, giocava con i cugini più grandi. Nessuno seppe mai dire chi fosse alla guida di quell’auto scura e di grossa cilindrata. Nessuno riuscì a dire a Fiamma chi avesse ucciso il suo bambino.

Al cimitero, Fiamma, ci andava ogni giorno. Ogni santissimo giorno. Seduta ad osservare quella foto sulla lapide bianchissima. Così la notavano i pochi frequentatori del camposanto. Lei era sempre lì a scrutare quegli occhioni scuri della foto che sembravano la guardassero intensamente. Sulla tomba del piccolo sempre fiori bianchi. Null’altro. Fiamma era una giovane mamma. Il suo unico figlio era Andrea. Suo marito Luca, dal giorno della tragedia, le era stato sempre accanto. Si occupava di tutto. In maniera impeccabile. Ma non era riuscito a ridare luce agli occhi di Fiamma. Lei così segnata dal dolore, era invecchiata, quasi a volersi avvicinare il più possibile alla morte. Gli anni erano trascorsi senza offrire un minimo di sconto, né al suo aspetto né al suo animo. Solo dolore, tanto dolore. Fiamma chiedeva sempre al suo piccolo di farle vedere, anche una sola volta, il volto di quella persona che lo aveva investito e che non si era fermato. Che dal giorno dell’incidente non si era fatto mai avanti. Quel volto. Quella macchina. Quel giorno. Era un tormento senza fine. Si era chiesta spesso “Possibile che non abbia un minimo di rimorso?  Possibile che riesca a riposare e a vivere sapendo cosa ha fatto al mio bambino?”. La morte del figlio era inaccettabile e a queste condizioni ancora di più. In un giorno freddo di novembre, Fiamma, come sempre, entrò nel cimitero per andare ad incontrare quegli occhioni bruni di Andrea.

Come ogni giorno, per quell’appuntanento fisso. Mentre si sedeva sulla piccola panchina di ferro, notò qualcosa sulla lapide. Ad attirare i suoi occhi un  luccichio. Veniva dal riflesso del tiepido sole del mattino su una piccolissima bici. Era lì poggiata accanto ad un vasetto di ciclamini bianchi. Una bicicletta in miniatura. Tutta rossa.  Come quella che utilizzava Andrea. Fiamma la afferrò e vide cadere un biglietto. Tutto le sembrò improvvisamente chiaro. Corse a casa. Asciugo ‘i suoi occhi pieni di lacrime e con Luca si presento’ alla polizia con quel biglietto. Passarono tre giorni e fu arrestato Nicola, il figlio di un facoltoso commerciante di auto della città. Quel biglietto e quella bici sulla tomba del piccolo Andrea erano stati portati dalla madre di quel giovane. Quella donna aveva scritto sul foglio di non essere riuscita più a trovare pace da quel giorno.  “Ho protetto mio figlio, ma ogni giorno per me è una tortura. Ogni notte sogno un bambino con una bicicletta rossa che mi sorride e che io non riesco ad accarezzare perché scappa via da me. Ho affidato alla sua lapide il mio tormento. E ho pensato se Andrea vorrà, la madre troverà questo messaggio”.

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