I ricordi nascosti tra le stanze vuote

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Ci sono stanze che sono state chiuse, le chiavi sono custodite nella grande dispensa. Ci sono corridoi dove la polvere si è posata nel corso degli anni. Le pareti, in alcuni angoli, sono scrostate. L’umidità ha tracciato la sua strada e arabescato di verde e di nero le mura dove l’intonaco cede e si sgretola diventando come farina biancastra. A momenti, soprattutto nelle giornate di sole, sembra di sentire l’eco delle voci di coloro che qui hanno vissuto. Allora, le tende sventolavano tra i corridoi, come bandiere scherzose di lino bianco e di merletto. Il vento creava mulinelli sfidando il calore dell’estate. Nella casa tutti riposavano per resistere alla calura, ma nessuno dormiva realmente. Camminando in punta dei piedi tra i corridoi e salendo le scale si potevano riconoscere il parlottio lesto degli zii chiusi nella grande stanza padronale che sicuramente erano intenti a fare i conti e a soppesare le spese necessarie ad ospitare tutti noi nipoti.

Le mie cugine parlavano ininterrottamente e si potevano percepire le loro risatine soffocate e di sicuro le loro discussioni erano tutte dedicate al figlio del mugnaio. C’era un telefono in casa, un enorme telefono nero e quando squillava la casa intera si rianimava e nessuno sapeva chi dovesse rispondere. La zia aveva timore di toccare la cornetta e ogni volta temeva fosse una sciagura che si annunciava. Il giardino, all’esterno della casa, era immenso, traboccante di frutti e di siepi. Sotto il pergolato, che riparava l’accesso alla cucina, si sedevano le zie più anziane rimaste per tutta la vita ad attendere un buon partito per sposarsi. E le loro erano storie di rimpianti impastate di allegria. Non si sentivano ancora vecchie abbastanza per sospirare e pregare e allora sognavano per le nipoti ormai quasi adulte. Il tempo, allora, sembrava immutabile. La grande casa, con il giardino e il viale ombreggiato dai pini, sembrava destinata a restare intatta nei decenni. Nulla avrebbe potuto cambiare le cose.

O almeno questo era quello che ognuno di noi, guardando alla casa, pensava. Io stessa mi sentivo protetta, non credevo che mi sarebbe mai accaduto nulla di brutto. La felicità era custodita in quelle stanze assolate e rumorose. Il tempo immutabile della grande casa non era eterno. Il cambiamento ci aspettava tutti. E oggi non resta che lo scheletro vuoto di una storia familiare, non resto che io sola a raccontarla. Di quelle tende così ricche di ricami e di bellezza non restano che gli stracci e i miei ricordi che piano piano si confondono nel sogno.

Paola Caramadre

Giornalista, autrice e lettrice onnivora e curiosa. Promotrice culturale, 'regista dei libri' e cofondatrice di Tantestorie.it

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