Vita con D

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di Tamara Barigaldi

Era strano vivere con D, dopo anni passati a relegarla nell’angolo più buio del proprio essere. Dopo aver fatto finta per troppo tempo che non esistesse…
La prima volta che l’aveva incontrata, sapeva che D non l’avrebbe più lasciata. Aveva diciassette anni, sogni da realizzare, paure da sconfiggere, segreti da proteggere, amicizie profonde e un cuore troppo grande per non essere ferito qualche volta di troppo. In pochi istanti D divenne il suo piccolo segreto, la parte più profonda di sé della quale si vergognava persino un po’ e della quale non parlava a nessuno, quasi a confermare il fatto non fosse ancora pronta a mostrarsi senza armature, corazze e muri, convinta che nessuno avrebbe potuto capire. Che nessuno avrebbe potuto comprendere i suoi silenzi, i suoi sguardi malinconici, le lacrime che non sapeva far scendere e gli scatti di altruismo disinteressato.

D era una compagna strana, irriverente, un po’ irascibile e spesso inaffidabile. Non sapeva mai se ci fosse ancora o se ne fosse andata. Alcune volte, nei momenti meno opportuni, faceva capolino da quell’angolo segreto che era riuscita ad ottenere per sé e le premeva una mano ossuta sulla spalla, ricordandole che forse non l’avrebbe abbandonata davvero mai. In quei momenti, senza che nemmeno se ne accorgesse, ogni colore sbiadiva leggermente, ogni musica suonava stonata o troppo chiassosa, persino i sapori tanto amati sembravano blandi.
Altre volte D non si faceva vedere per giorni, scompariva senza lasciare traccia, sembrava non essere nemmeno mai esistita. Erano giornate di sollievo, di sorrisi, di musica e armonia. Erano l’illusione tutto potesse essere finalmente okay. A posto. Normale. Erano una chimera, una sirena ammaliatrice, l’ologramma della vita che avrebbe potuto essere.

Eppure D c’era, faceva parte di lei, ne scolpiva i tratti e spesso era la causa dei suoi momenti bui, delle sue insicurezze, del suo dire “meglio di no”, dell’incredibile fragilità di un essere umano in perenne crescita e scoperta di sé. Quando aveva capito che era giunta l’ora di dirle addio, che D se ne sarebbe andata in capo a qualche mese, aveva avuto paura. Si era chiesta che ne sarebbe stato di lei, cosa le sarebbe successo, come avrebbe affrontato le proprie giornate senza la certezza della sua seppur grigia presenza. Aveva passato ore incerte, soppesato pro e contro, riflettuto sul da farsi prima di risolversi a sospirare e prepararsi al commiato. La salutò con un sorriso incerto sulle labbra, mentre D le rivolgeva un ghigno sghembo quasi a prometterle che si sarebbero ritrovate. L’aveva ringraziata per le tante piccole lezioni di vita, per i momenti di riflessione profonda e per le serate di quiete. Le aveva stretto una mano sulla spalla ossuta, prima di voltarsi e procedere. Si strinse la sciarpa al collo, come a proteggersi da un vento che nemmeno c’era prima di proseguire lungo i propri passi. Davanti a sé, il mondo.
Addio, D –.

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