Una porta tutta d’oro

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di Stefania Di Zazzo
Immaginatevi una porta.
Una porta d’oro; oro massiccio naturalmente. Tempestata di brillanti, zaffiri, rubini e turchesi.
La sua maniglia era costituita da un diamante enorme, che riempiva la mano di un adulto. Un bambino, a volerla ruotare, doveva usare entrambe le manine.
Questa porta raffigurava l’opulenza.

Il palazzo che la possedeva era più grande, più fastoso, più lussuoso di qualunque castello.
Sappiate, però, che chi se ne liberò, fu costretto a farlo a causa di un piccolo incidente che accorse al grande palazzo stesso.
Una mattina, i ricchissimi signori che vi abitavano si svegliarono, e, come ogni giorno, scesero dalle loro stanze per raggiungere la magnifica sala da pranzo adornata con fiori, nastri e tende lussuose.
Quella mattina, però, trovarono una triste sorpresa.
La parete esterna, quella che sosteneva la porta, era completamente franata. E, pensate un po’: la porta era dritta, in piedi, splendida come sempre. Si ergeva solida, ma in mezzo al nulla!
La parete fu subito ricostruita.
Per farlo, chiamarono la maestranza più esperta. Il nuovo muro doveva sostenere il peso di una possente opera d’arte, e doveva essere solido, ed elegante.

Nel giro di pochi giorni, però, la porta si ritrovò di nuovo da sola, in mezzo ad un cumulo di macerie.
Con grande dolore la porta fu venduta.
Chi la comprò abitava molto lontano e non conosceva il reale motivo per cui a malincuore quella preziosa e sfavillante porta fu data via.
Altri ingegneri, architetti e manovali si misurarono per risolvere il pur semplice problema del suo sostegno. Di nuovo, il muro, eretto a supporto della porta, resistette per poche settimane.
Non si sa bene quanti muri abbatté la porta, quanti bei palazzi abbandonò, quante ricche famiglie conobbe, e quanti complimenti ascoltò diretti alla sua stupefacente fattura, ai suoi splendidi gioielli tutti favolosamente incastonati.

Fatto sta che si ritrovò, poverina, tra gli oggetti abbandonati in un vecchio deposito, nella periferia dell’ultima città che le fu consentito di conoscere.
Stava lì, al buio, e non se ne dispiaceva troppo, perché era stanca di tutti quei viaggi, quei complimenti di persone che continuavano ad elogiarla.
Davvero non capiva il loro grande stupore: in fondo era solo una porta.
Un giorno il deposito fu aperto per consegnare un vecchio cavalluccio di legno. Il bimbo che lo prese, era felice: il suo papà, lo avrebbe rimesso presto in funzione ed insieme avrebbero potuto vivere fantastiche avventure.
Ma pioveva, accidenti se pioveva. Albertino, insieme al suo papà, perlustrarono l’interno di quel deposito alla ricerca di qualcosa che servisse a riparare il suo nuovo amico dalla pioggia!
Accipicchia! Che cos’ è?
Qualcosa di luccicante, attirò la loro attenzione!

Dopo un po’, finalmente, smise di piovere. Il bambino era seduto sul carretto e stringeva a sé il cavalluccio. Il suo sguardo però, guardava affascinato lo spettacolo di luci che emanava quella porta che suo papà fu obbligato a comprare. I suoi giovanissimi occhi erano esultanti di gioia.
Il papà guidava lungo la stradina e continuava a ripetere in tono preoccupato al figlio: “Vedrai Albertino, sarà difficile fare quello che vuoi, non aspettarti nulla”
Albertino, però, era felice.
Non solo stringeva a sé il cavalluccio di legno, ma aveva trovato una splendida, anzi, splendente soluzione per Graziella.
Graziella era una gallina pigra.
Mangiava svogliatamente, non si muoveva mai, e quando ti guardava, sembrava non le importasse nulla di te.
Solo Albertino era in grado di farla scappare per qualche metro, ma poi si accovacciava di nuovo. E non parliamo delle uova! Quelle non le covava nemmeno a pregarla in ginocchio.
Insomma quel pollaio era abitato da una sola gallina che era pigra, ma così pigra che il recinto era aperto, nella speranza che Graziella scappasse, almeno per fare una passeggiata!
L’idea che ebbe Albertino era fenomenale.
Quella porta avrebbe dovuto chiudere il recinto del pollaio, così la mamma poteva comprare, al mercato, un’altra gallina, che avrebbe fatto compagnia a Graziella, che evidentemente era pigra perché triste.
A fatica, Albertino ed il suo papà, montarono la porta a chiusura del pollaio, agganciarono le pesanti cerniere ad un recinto ormai arrugginito e, indovinate?

La porta stette dritta, in asse. Nonostante la parete fosse inesistente. Incredibile: si apriva e si chiudeva perfettamente, e con estrema facilità.
Del resto una porta è sempre e solo una porta.
Graziella finalmente smise di annoiarsi mortalmente.
Abbagliata dai variopinti luccichii che la porta le offriva, scorrazzava lungo il pollaio, e beccava tutto quello che trovava: diamanti, granone , oro, erba, zaffiri e quant’altro.
Cominciò a sfornare talmente tante uova, che la mamma di Albertino fu costretta a venderle al mercato. Comprò altre galline, e vendette sempre più uova, e investì il ricavato comprando conigli che allevò per vendere anche quelli. Non faceva più freddo in inverno, perché finalmente c’era in casa legna in abbondanza per tenere acceso il camino, tranne la notte di Natale, ovviamente, perché sennò Babbo Natale si bruciava il sedere.
La porta da allora non si mosse più di lì. Fu felice di vivere con Graziella e le sue amiche che continuavano a beccare e le facevano il solletico.
La nostra porta, stravagante e preziosissima, aveva finalmente tutto ciò che voleva.
Non robusti sostegni, a stare in piedi era capace da sola, ma una solida certezza di essere utile!

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