Un altro lavoro

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di Ennio Doccula

«No, ma era una mia compagna delle elementari», disse Martino, chiedendosi allo stesso tempo perché mai avesse esordito con quel “no”.
Ilde non diceva niente. Nella tazzina c’era ancora più di metà del caffè e il suo sguardo, all’apparenza attento, aveva qualcosa di lontano.
«No, ma che poi adesso tu la vedi con quel tailleur nero, un po’ come dire…», Martino fece la solita pausa per cercare la parola più adatta, «…“avvocatizio” e ti sembra che abbia più di quarant’anni, ti sembra molto “donnesca” insomma, ma la cosa divertente è che, in un certo senso, era così anche alle elementari. Cioè, era “donnesca” anche da bambina. Senza il tailleur però.»
«Ma com’è che si chiama?», domandò Ilde, abbassandosi a cercare il telefono dentro la borsa.
«Virginia. Io l’ho chiamata Vi, ma si chiama Virginia.»
Martino iniziava a sentirsi un po’ teso. Cercò allora di proseguire il discorso per sciogliersi: «Che poi ti ricordi quell’altro mio compagno, però delle medie, Mario, quello che a un certo punto
piaceva alla Fede?»
«Sì… vagamente.» fece Ilde.
«Ecco, lui l’ha amata per tipo quasi dieci anni! Sicuramente per tutte le superiori – andavano a scuola insieme – e poi ancora per un bel po’.» Martino si chiese per un attimo se quello fosse un
buon argomento, ma il piccolo sorriso di Ilde lo rassicurò.

«E lei lo ha amato?» domandò poi la ragazza. Era divertita dal fatto che per Martino ci si “amava” e basta: non c’erano altre possibilità, né espressioni. Intanto però continuava a tenere gli occhi sul
telefono e chissà cosa scriveva.
«No, pensa, lei non lo ha mai amato», rispose Martino un po’ più sciolto. «E secondo me, alla fine, è anche strano…»
«E… perché, scusa?»
«Mah… Perché dai… Lui certamente non era peggio di tanti altri e poi, davvero, tutto quel tempo! In più Virginia, da che la conosco, è sempre stata così gentile, hai visto anche con me poco fa!».
Ilde non sembrava convinta dell’argomento, ma non rispose. Gonfiò leggermente la guancia destra in un’espressione buffa. Faceva sempre così per mascherare un dubbio e tutte le volte Martino aveva l’impressione di averla “detta grossa”, o, semplicemente, di aver detto una cosa più stupida di quella che lei si sarebbe aspettata, il che era anche peggio. Cercò allora di guardarla negli occhi in modo un po’ canino, come per scusarsi, ma si sentiva di nuovo teso e non riuscì a far altro che spostare quasi subito lo sguardo verso l’orologio all’interno del bar-pasticceria, da cui Virginia o Vi non era ancora uscita.
A Martino sembrò di aver peggiorato le cose in questo modo; sotto al tavolo, la sua gamba iniziava ad agitarsi impercettibilmente.
Poi Ilde mosse la testa di scatto e appoggiò il telefono sul tavolino. Disse: «Comunque, a proposito, hai presente mio cugino Cristopher?»
Per Martino fu come una boccata d’aria.
«Sì, certo, come no! Che poi tra l’altro quando ci incontriamo, e non capita spesso, mi chiedo sempre se dovrò rifare le presentazioni, invece lui non solo si ricorda di me, ma è anche gentilissimo, come se ci fossimo visti l’altro ieri. Alla fine mi sento quasi un po’ in colpa…» rispose molto più sereno e per questo verboso.
«Già, lui è così», tagliò corto Ilde. «E ti ricordi che lavorava con suo padre in officina? Forse una volta ti avevo raccontato…»
«Sì, quella storia che il padre praticamente lo sfruttava… sì, mi ricordo qualcosa.»
«Ecco, adesso finalmente ha trovato un altro lavoro.»
Martino era un po’ spaesato e non capiva dove la ragazza volesse arrivare.
Disse: «Bene, sono contento per lui, mi è sempre sembrato, appunto, un br…»
«No, ma non è questo il punto!» lo interruppe Ilde ridacchiando e accalorandosi anche un po’.

«Ok… e allora qual è il punto?»
«Il punto, caro mio, è che ora fa l’autista, l’autista del pulmino dell’Esselunga, hai presente?»
Ilde aveva sempre avuto questo modo un po’ confusionario di tenerlo sulle spine; ogni volta, bastavano i suoi occhi verdi accesi a far capire che, di lì a poco, avrebbe raccontato tutto. A Martino però piaceva quando Ilde faceva così e lasciò che continuasse. Allora, divagando apposta, rispose: «Sì, certo che ho presente. Quel pulmino che poi un sacco di gente non prende mica per andare a fare la spesa, ma solo perché attraversa tutto il paese come un autobus normale però è gratis. Pensa, una volta l’ho preso anch’io e alla seconda fermata sono saliti dei ragazzini maleducatissimi, che, te lo giuro, non avranno avuto più di undici anni!»
«Sì, sì, quello.» rispose Ilde e sembrava un po’ impaziente: Martino ne fu soddisfatto.
«Beh, insomma, l’altro giorno ha fatto l’ultimo turno, quello che finisce più o meno alle sette. Stava tornando al deposito, ma a un certo punto ha girato in via Wagner. Si è fermato e ha chiamato la Fra…»
«Non ci posso credere… Ancora?!»
«Sì! Ma tra l’altro non si sentono praticamente mai! Le ha detto: “Fra sei a casa? Se non sei impegnata ti va di fare un giro? Io sono qui sotto casa tua, però dimmelo subito”.»
«E lei è scesa?» domandò Martino, questa volta davvero sulle spine.
«Sì. Era appena tornata dal lavoro.»
«E si è trovata davanti il pullman…»
«Già… Infatti all’inizio non capiva, stava per telefonargli, ma poi si è sentita chiamare dal finestrino del pullman e lui le ha detto ancora: “Allora, ti va se facciamo un giro?”»
Per qualche attimo, Martino abbassò gli occhi con un mezzo sorriso, fingendo di riflettere sul fatto.
Poi guardò di nuovo Ilde e disse:
«E lei c’è andata.»
«Sì, c’è andata.»
«Ed erano solo loro due col resto del pullman vuoto, giusto? Ma dove sono andati?!»
«Esatto, loro due e il pullman vuoto… Sinceramente non mi ricordo dove sono andati, ma ha così tanta importanza?»
«No, hai ragione, non ha importanza.»
Martino era di nuovo teso, la gamba aveva ripreso a vibrare impercettibilmente sotto il tavolo.
Continuò il discorso:
«Quindi lui la ama sempre? Ma non aveva mica una ragazza?»
«Sì. Non so come spiegare… Lui ha avuto anche più di una ragazza in questi anni, e intendo dire storie importanti. Tuttora sta con una persona che è veramente carinissima. Però ama la Fra. Sì, la ama proprio sempre», disse Ilde, e si divertiva ad usare anche lei quell’espressione così dolce ed eccessiva.
«Lei invece non lo ama, giusto?»
«No, no, mai amato
«Però è andata con lui a fare il giro sul pullman vuoto.»
«Già.»
«E poi lui l’ha riaccompagnata a casa, sempre col pullman.»
«Esatto.»
«Ma tu come fai a sapere tutta questa storia?»
«Me l’ha raccontata. La Fra, intendo.»
Martino tacque per qualche momento, mordicchiandosi l’unghia del pollice. Alla fine disse: «È una delle cose più romantiche che abbia mai sentito.»
Ilde non rispose. Prese in mano il cucchiaino e, assorta, mescolò ancora una volta il caffè ormai freddo nella tazzina. Sulle sue guance incominciava a farsi strada un lieve rossore.

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