Superstizioni per cuori infranti

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di Paola Lombardi
Una cascata di orchidee rosa pallido e di rose bianche inondava la zona prospiciente l’altare centrale della chiesa parrocchiale. Gli ospiti erano tutti, seduti o in piedi, ai loro posti tra i banchi della navata. I testimoni apparivano visibilmente emozionati, le mamme degli sposi si soppesavano a distanza non mostrando la minima simpatia l’una per l’altra, mentre lo sposo stava impacciato con un sorriso stampato sulla faccia e le mani giunte come se stesse ripetendo tra sé una preghiera privata.

Le campane avevano già cominciato il rintocco festoso di mezzogiorno, ma della sposa non c’era nessuna traccia. La testimone della futura mogliettina guardava in maniera ossessiva il cellulare. Dopo una ventina di minuti anche il sacerdote appariva preoccupato. I parenti iniziavano a sbuffare e qualcuno, più estroverso degli altri, si era trasferito nel bar più vicino. Soltanto lo sposo non aveva perso il suo sorriso smarrito e fiducioso. All’improvvisò qualcuno rientrò trafelato in chiesa annunciando: “La sposa non verrà”.

Il padre della ragazza attraversava la navata a passo svelto. Si avvicinava a sua moglie e le bisbigliava qualcosa. Poi insieme si allontanavo di gran fretta. Tra gli ospiti aleggiava un brusio sempre più rumoroso. Il volto dello sposo subiva una rapida trasformazione, dal sorriso estatico alla preoccupazione più nera in un istante solo. E anche il giovane, dopo aver lanciato sguardi smarriti intorno a sé, andava via con il volto annebbiato.
La sposa abitava a nemmeno 500 metri dalla chiesa. Quando il ragazzo suonò al campanello non rispose nessuno. Dopo pochi secondi si affacciò la futura cognata dalla finestra del secondo piano: “Emanuela non vuole sposarsi più”. “Come non vuole sposarsi?” chiese quasi disperato il ragazzo aggiungendo: “Fammi salire, ti prego”. “Non puoi salire, torna in chiesa, adesso proviamo a convincere questa pazza”.
“Io da qui non me ne vado”, si mise a strillare lo sposo: “Fammi salire ti ho detto, le voglio parlare io, fammi salire”.
“Aspetta, aspetta un momento” e di scatto la finestra al secondo piano si chiuse all’improvviso. Alcuni minuti dopo, il meccanismo elettrico azionò l’apertura del portone. Il ragazzo prese coraggio e aperta la porta salì rapidamente le rampe di scale che lo separavano dalla futura moglie. Spalancata la porta si trovò di fronte una scena pietosa: la fidanzata con il pigiama, il trucco pesante che le rigava il volto impiastricciato dalle lacrime.

I genitori quasi pietrificati e i pochi parenti presenti con le facce di circostanza quando c’è un lutto in famiglia. “Che succede? Emanuela, parlami ti prego, che succede?”. La ragazza gli sorrise con uno sguardo vitreo e assente e gli disse ancora sconvolta dai singhiozzi: “Oggi non mi posso sposare”. “Come non ti puoi sposare? Sei impazzita?”
“No – singhiozza la ragazza sconvolta – tra i regali ci sono le perle! Hai capito? Qualcuno mi ha regalato le perle, portano sfortuna”, l’ultima vocale era stata sommersa dalle lacrime. “Dai – ribatte il fidanzato – non crederai mica a queste sciocchezze? Sei laureata!”
“E allora? Le perle significato lacrime e io non voglio piangere per tutta la vita” e le parole venivano soffocate da un’ondata irrefrenabile di pianto. All’improvviso anche la madre della sposa prese a singhiozzare pensando al conto del ristorante tutto da pagare.

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