Sciroppo d’acero

Foto di Budgme da Pixabay
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Si passò le dita tra i capelli bagnati cercando di sciogliere i nodi, sfregò la cute con lo shampoo. La schiuma le cadde sul collo, sulle spalle, sulle clavicole, le scivolò sulle ciglia facendole bruciare dannatamente tanto gli occhi. Chiuse le palpebre, le strofinò con le nocche delle mani, vide rosso, nero, rosso, nero, rosso, l’intreccio della cornea. “Con estratto di sciroppo di acero. Per capelli secchi e spenti” recitava l’etichetta. Il flacone giaceva ribaltato sul pavimento della piccola doccia, un rivolo denso color caramello scivolava verso il bordo inferiore della tenda. Si sciacquò, chiuse l’acqua, uscì dalla doccia e si avvolse nell’accappatoio. Rimase immobile per qualche secondo, in piedi sul tappetino malconcio; sentì le gocce d’acqua tiepida scenderle dalla nuca fino alla schiena, dalle natiche fino ai polpacci, e dalle caviglie fino al pavimento.

Passò una mano sullo specchio per togliere lo strato di umidità che lo copriva, vide il suo volto riflesso, dai contorni sfocati, la macchia rossa delle labbra e quella più scura degli occhi. Era lei, era sempre lei, era ancora lei. Ma quella era l’immagine che le restituiva la lastra senz’anima dello specchio; qual era, invece, quella che riflettevano le pupille di lui? Qual era l’immagine di lei che si proiettava dietro alla sua cornea e che arrivava fino al cuore? Respirò, spinse la maniglia della porta; due passi e si trovò davanti a lui, seduto su una sedia, le mani abbandonate sulle ginocchia e lo sguardo perso oltre la finestra.
«E’ buio. Accendo la luce?»
«No, va bene così.»
Sentì i piedi umidi lasciare due impronte sul pavimento tiepido, i capelli gocciolare sul bordo del tavolo mentre si sporgeva verso di lui.
Una delle cose che causano più dolore è l’incoerenza, la non congruenza tra due o più elementi. Andiamo in confusione. Due messaggi contrastanti tra di loro ci fanno soffrire, perché non sappiamo più a quale far riferimento. E allora diciamo: “Non capisco.” Non capisco. A cosa devo dare retta? Uno dei due elementi deve essere per forza falso. Ma quale dei due? Non lo so. A cosa devo credere? A questo, o a quello? Non c’è un punto fisso, da guardare, mentre tutto intorno gira vorticosamente, per non svenire, per non vomitare.

«Non riesco a mettere insieme i pezzi di quello che mi dici con i pezzi di quello che fai, con i tuoi gesti, le tue parole.»
Incongruenza dei pezzi. Una spaccatura e i bordi frastagliati che non combaciano più. Quello che non combacia, quello che non si incastra, rimane fuori. E quello che rimane fuori inizia a dilagare, ad allargare, a diventare sempre più grande e pesante. Basta quel pezzo, quel pezzettino. Basta una briciola di parola, una scheggia di gesto. Quella cosa che non ho mai capito, e che è rimasta lì, a metà tra il dentro e il fuori, tra il detto e il non detto, mi fa sanguinare. C’è una ferita che ha opposto resistenza a tutti i cicatrizzanti, ed è proprio quella.
«Alla fine ci siamo solo noi. Alla fine è così. E’ così la fine. Chi attacca per primo? Chi morsica per primo?»
Lui si spostò, e nello spostarsi sbatté il ginocchio contro l’angolo del comodino. Lei appoggiò la schiena al muro. Lui si sedette per terra. Lei si lasciò scivolare giù, lasciò che le sue spalle, i suoi lombi, la sua spina dorsale, strisciassero e raschiassero contro l’intonaco ruvido della parete, e si sedette accanto a lui. Il pavimento era tiepido ma terribilmente doloroso sotto alla pelle nuda. Si cinse le ginocchia con le braccia e lui incrociò le gambe. Fissarono il nulla davanti a loro.

Il tempo si fermò, il mondo intero si fermò, in quel momento.
“Raccontami una storia. Una storia qualsiasi. Raccontami una storia, e tienimi la mano”.

Foto di Budgme da Pixabay

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