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Il faro
Il faro
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L’amico del guardiano del faro non sfiora la sabbia perché teme che scotti, e scende dalla lanterna solo quando viene notte. Guarda la distesa del mare, uguale e diversa a ogni istante, e la sente parlare, con variabile umore, nella sua lingua liquida e antica. Di certo è più ciarliera di lui, tanto che spesso il guardiano nemmeno nota la differenza con un pezzo d’arredamento. Però, una cosa lo accomuna all’amico: entrambi pensano a non pensare, e alimentano i silenzi con le pause dell’acqua tra le frasi scroscianti, non diversi da gatti che puntano l’orizzonte, in attesa. Il guardiano, in questi momenti, è più che reminiscente dei suoi vecchi studi di musica: il mare dice una cosa e, a seconda del clima o, se d’umore più instabile, del variabile ritmo della parlantina di cui fissano l’azzurità lungo il trascorrere delle ore, intramezza il discorso, quando è vivace, prima di una minima, poi di una semiminima oppure, nei momenti più calmi e riflessivi, di una semibreve; e il guardiano continuerebbe a perdersi volentieri nel calcolo delle pause, se non fosse che prima o poi, con la puntualità di una cambiale, l’amico confonde la sabbia coi vetri della finestra finché, tutto, gli sembra di sabbia.

Allora, ha paura di potersi bruciare e parla, ma la parola è un graffio in gola che non si espande, è sabbia tal quale. Il guardiano lo sa, e sa che l’amico non può trattenersi tutto quel tempo, dovrebbe mettersi in cammino anche se è giorno: gli serve un bel paio di scarpe leggere, non può stare continuamente scalzo, non può mettersi, ai piedi, invisibili babbucce di marmo per ancorarsi alla torre dall’alba all’oscurità. La soluzione di un guaio, non di rado, ce la si ritrova giusto sotto le froge, e la si scopre di solito cozzandovi il naso, giustappunto, o per un lampo di lucidità che scuote la mente da una lunga siesta. Da molto tempo, il guardiano, non tocca la chitarra appesa alla parete: è una forma trascurata, meramente decorativa, nascosta in piena vista, come spesso gli oggetti di una casa che non hanno altro ruolo che riempire i vuoti e diventano invisibili come i vuoti stessi, pur essendo presenti alla percezione, solidi, tastabili e comunque vedibili. Non sa nemmeno se è ancora accordata e si alza a prenderla in pochi passi. L’amico è sorpreso. Il guardiano, con la mano destra, dà un colpo a corde vuote: l’amico sembra destato da un richiamo antico e primitivo, simile, nella mansione, a una nota grave tratta da un corno soffiato di belva, ma non nel suono, composito e surreale, più tendente all’argentino pur con un cuore scuro.

Al rozzo esame lo strumento suona il dovuto e sembra non aver perso smalto. Si ricorda che è bravo, il guardiano, e, restando in piedi, prende a suonare “Asturias”. L’attenzione dell’amico non cessa, e il guardiano gli volta le spalle e comincia a camminare, pizzicando le corde, finché scende le scale del faro. Le note su uno spartito sono un mistero come le stelle che, la notte, accendono il firmamento. Gli iniziati soltanto lo conoscono, e l’amico del guardiano del faro può solo lasciarsi andare a un segreto che non comprende, ma lo intriga, sfilandogli quelle invisibili calzature di marmo cui si era costretto gran parte del tempo. Segue il guardiano: gli scalini si tramutano in onde che solca, nave tra la foschia, con l’unico riferimento del canto di sirena che il faro lancia ai naviganti, quando nulla può la lanterna; e la sirena è la chitarra.

Ecco dunque la roccia su cui sorge la torre, ecco il sole del primo pomeriggio che esalta l’oro opaco della sabbia antistante, ecco il calore sulla pelle, prima ancora di calpestare l’arena, che è solo un segnale di esistenza, né ferma la mobile sospensione di rincorrere un filo che si dipana. Mentalmente il guardiano solfeggia, senza distogliere l’orecchio e le dita dalla cavalcata flamenca, il tempo che a suo parere separa l’amico dalla distesa ocra: TA-A. Una minima, il tempo di un fischio a una bella ragazza che passa per strada. Prima un piede, poi l’altro. Nessun grido. Il brano è concluso, si fa da parte, ma l’amico prosegue per conto suo, sveglio, veloce, aduso alla temperatura che gli scalda le piante, dopo il primo morso di calore, che ricordava quello di una donna al torace: forte, intenso, ma non proprio doloroso. Il guardiano è un iniziato, non c’è dubbio, e scommettiamo che non vedrà l’amico per un bel po’? Io mi ci gioco un caffè, forte e intenso come il morso di una bella donna.

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