L’incontro

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Quando sono partita dalla mia città avevo il cuore pesante. Mio padre era malato e non potevo concepire di doverlo lasciare solo e sofferente nel suo letto. Qualcosa aveva colpito il suo cuore durante la battaglia di due notti fa e la stessa malattia aveva colpito altri guerrieri.
Con me c’erano altre tre persone, tra cui mio fratello Christofer. Parlavano tra di loro su quale strada sarebbe stato meglio intraprendere, mentre io ascoltavo lo scalpiccio degli zoccoli del mio cavallo sulla strada e il rumore della spada appesa al mio fianco: nella mia mente ripetevo ogni singola posa da allenamento effettuata la sera prima, mentre tentavo di tenere sgombra la mente.
Ho pensato a molte cose e non ho trovato una soluzione per nessuna di esse.
Non sono mai stata una campionessa in questioni che riguardassero la pazienza: i miei momenti di pace erano nell’istante in cui la spada fendeva l’aria.

Quanto sono sciocche le ragazze alla mia età. Mio padre mi stava raccontando di come sarebbe stato fiero di me se, oltre che diventare un cavaliere, avessi pensato anche all’eventualità di interessarmi ad un ragazzo. Come avrei potuto innamorarmi? Io non sapevo neanche dare un nome ai miei pensieri.
Tutto era accaduto in un attimo: qualcuno bussò alla porta, credo fosse un messaggero per mio padre, lui si alzò da tavola prendendo la spada, Christofer lo seguì, ed entrambi mi intimarono di rimanere in casa.
Afferrai la mia spada e lo scudo e gli fui accanto.
La gente si stava riversando in strada come un fiume che, straripando, trascina tutto quello che trova sul proprio cammino. La città andava a fuoco e davanti a casa mia si stava combattendo; io attraversai l’aria e mi gettai nella mischia. Le persone non urlano più quando le spade incrociano le lame; il fuoco non infervora più quando osservi la vita lasciare gli occhi del tuo avversario e quando il tuo cuore sta ancora ballando sul podio dell’adrenalina. Per un attimo, prendi coscienza che tutto il resto attorno a te non si è fermato.
La sensazione è la stessa di un salto nel vuoto: tutto si blocca nell’istante in cui una spada cade, una voce chiama aiuto e il corpo perde equilibrio piombando a terra. Uno dei feriti era mio padre. Mi stavo perdendo nel porpora del sangue, quando mi resi conto che Christofer mi scuoteva per le spalle: «Hayden, ti avevamo detto di rimanere in casa!».
Mio padre era a terra, circondato da altri arrivati per aiutare; il fumo mi soffocava, avvertivo la rabbia e il Male insinuarsi, come un faro nella notte, nelle vene di quel corpo steso a terra che ora a stento riconoscevo. Credo di aver perso conoscenza: come sono sciocche le ragazze alla mia età.
La mattina dopo mi svegliai nel mio letto e il ricordo di cosa era accaduto, mi colpì un’elsa sulla nuca. Christofer dormiva sulla poltrona al mio fianco, io decisi che dovevo alzarmi: dovevo accertarmi delle condizioni di salute di mio padre.

Dopo essere stata in ospedale, andai in caserma. Dovevo assolutamente fare qualcosa e, non sapendo come sfogare la frustrazione, ho iniziato a correre, calciando sassi e non guardando affatto dove stavo andando. Ero totalmente fuori di me, pensavo al momento in cui la lama fende l’aria, alla pace e a come scacciare via i miei pensieri vendicativi.
Trovai qualcuno che arrestò il mio soliloquio interiore: ho preso conoscenza del fatto che stavo guardando il mio capitano. Come sono sciocche le ragazze alla mia età: bastava lui a spedirmi in un altro luogo pieno di confusione.
Riflettevo sulla sua voce mentre galoppavamo verso la città vicina, sul suo respiro vicino al mio orecchio mentre mi insegnava, anni fa, a maneggiare la spada.
«HAYDEN, mi stai ascoltando? Sono venti minuti che ti parlo e si vede che non mi ascolti”.
Una voce mi giunse da lontano: ero di nuovo in sella al mio cavallo, sulla via che porta fuori dalla città e Christofer mi guardava accigliato pretendendo attenzione.
«Scusami, stavo ricordando cosa è accaduto a papà. Dicevi?»
«Non dovresti continuare a pensarci, non potevi fare molto. Ti parlavo del fatto che potremo seguire la strada che dovrebbe aver preso il tuo capitano. Si risparmia tempo se aggiriamo la città».
Dorian era partito durante la notte con un plotone di cavalieri. Il loro scopo era inseguire, o almeno tentare di farlo, coloro che avevano scatenato il trambusto.
Mi stavo di nuovo crogiolando nei miei pensieri ma mi affrettai a rispondere:
«Credo anche io che sia la scelta migliore, sarebbe anche opportuno sveltire il passo: ho un pessimo presentimento al riguardo» dissi senza pensarci su; un tarlo si era affacciato alla mia mente: qualcosa stava per accadere e ne sentivo l’odore sulla scia del vento.
Ho esortato il cavallo a ripartire, lanciandolo al galoppo e senza dare ulteriori spiegazioni. Sapevo che dovevo assolutamente arrivare da Dorian: qualcosa era cambiato nel suo sguardo, i suoi occhi erano mutati e dovevo assolutamente capire cosa fosse accaduto.

Per arrivare a destinazione ci vollero tre giorni. Il mio cuore era pieno di angoscia, l’impressione che fosse successo qualcosa di grave si era insinuata nel profondo del mio animo e non mi lasciava respirare. In lontananza ci apparvero diversi fuochi che sprigionavano lunghe colonne di fumo nero, visibili da lunga distanza.
Non ho avuto bisogno di guardare il volto di mio fratello: spronai il cavallo fino a trovare alcuni dei soldati che lavoravano attorno ai fuochi. Non erano normali falò ma pire.
Uno dei cavalieri si voltò a guardarmi con aria incredula e poi cadde ai miei piedi prendendosi la testa tra le mani:
«Non so cosa sia successo. Siamo arrivati in questa valle e siamo subito stati attaccati. Erano coloro che stavamo cercando. Ci sono stati molti morti, fra cui diverse perdite dalla nostra parte; il capitano è andato a nord con altri quattro cavalieri ma non devi stargli vicino: non riconosce più la rabbia dalla giustizia».
Cercai di confortarlo e tutti aiutammo come meglio potevamo. Christofer aveva sentito cosa mi era stato riferito e cercò di convincermi a non andare: «So che vuoi seguirlo ma non dovresti, potrebbe non ascoltarti, in questo momento non siete amici».
Non potevo lasciare solo Dorian: negli anni passati in caserma, avevo avuto modo di conoscerlo. Siamo diventati amici e a volte mi permetteva di scavare nel suo passato. La sua vita era stata più complicata della mia: sebbene entrambi orfani, io ero cresciuta con una famiglia, non in accademia.
Quando raggiunsi il luogo che mi era stato indicato, la battaglia imperversava. Il gruppo di criminali aveva preso degli ostaggi: donne e bambini erano stati gettati nella mischia come scudi. Non si può descrivere quello che ho visto, quelli che erano i miei compagni si stavano comportando come macellai. Cavalieri del Sole stavano combattendo in preda alla furia muovendo i cavalli in circolo in modo che si creassero mulinelli di sabbia. Tra tutti loro, il capitano calava la spada come un fulmine ed era posseduto da un demone che non avevo mai visto.
Senza riflettere mi gettai nella battaglia e mi frapposi tra lui e la sua vittima; la sua forza era di molto superiore alla mia e mi travolse: non mi aveva riconosciuta e io stavo cadendo a terra, ferita.
Devo essere svenuta, perchè quando mi sono ripresa, ero su una lettiga improvvisata all’interno di una tenda e uno dei cavalieri si stava occupando della mia ferita. Quando si rese conto che lo stavo osservando, si è precipitato verso di me sorridendo: «Sono contento che tu sia sveglia, il capitano sarà felice di saperlo. Chi ti ha colpita?»
Non era il momento di parlarne, non con lui almeno, ho scosso la testa e ho chiesto: «Posso parlare con il capitano, per favore?». Lui ha annuito ed è uscito.

Credo di essermi addormentata perché non mi sono accorta che Dorian si era seduto al mio fianco. Nel momento in cui mi sono ripresa, prima di parlare, volevo essere sicura di quale persona fosse davanti a me: non era stato Dorian a colpirmi, anche se ne possedeva i lineamenti.
«Salve Capitano, credo di non aver visto la fine della battaglia, il mio cavallo deve avermi disarcionata».
Il suo sorriso fu la conferma che tutto era normale, ora.
«Mi hai fatto stare in pensiero. Mi dispiace per quello che è successo. Io…»
«Non pensarci ora, ero conscia del fatto che non mi avevessi riconosciuta nel momento in cui la mia lama ha incrociato la tua, speravo solo di riuscire a rimanere in sella. Conosco bene i tuoi affondi e sapevo che, probabilmente, non avrei resistito»
«Ho fatto una cosa terribile»
Ora era talmente presente che stava per varcare il secondo confine della sua vita: il primo oltre la rabbia e il secondo oltre la disperazione.
D’istinto gli presi la mano: «Lo so, svolgeranno un’indagine e sarà tutto molto più semplice se ti costituisci. Cercheranno di capire se quello che è accaduto fosse evitabile e se, il tutto, sia una tua responsabilità»
«Posso chiederti di pregare con me questa notte? Non avrei diritto di chiedertelo ma sei l’unica a cui posso fare una richiesta simile»
Non c’era bisogno di chiedermelo, avrei fatto qualsiasi cosa pur di essergli di conforto.
“Ti accompagno dove vuoi ma devi aiutarmi ad alzarmi, credo che la mia caviglia non funzioni”.
Era una notte stellata e lui mi sosteneva con le sue braccia. Come sono sciocche le ragazze alla mia età: tutti avevamo rischiato la vita quella notte e io pensavo solo al fatto che lui aveva chiesto il mio aiuto.

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