Le rondini migranti

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di Laura De Santis

C’è chi aspetta le stagioni, chi aspetta l’estate, l’autunno, l’inverno. Chi cerca la primavera in ogni raggio di sole, chi immagina di essere in aprile appena l’aria è più tiepida e poi ci sono io che aspetto le rondini. Dividevo il tempo in due fasi, l’arrivo delle rondini e la loro partenza.

Quando ero bambina chiedevo con insistenza qualcosa e la risposta di mio padre era sempre la stessa, quando arrivano le rondini lo faremo. Oppure, quando partiranno le rondini ci andremo. Il mio anno era distinto da questi due eventi. Mi piaceva immaginare questi piccoli volatili preparare valigie immaginarie per affrontare il viaggio verso l’estate e poi tornare indietro verso un’altra estate. Il popolo migrante del cieo. Trascorrevo giornate intere a scrutare il cielo in attesa dell’arrivo di questi uccelli. Sentivo il loro stridio anche quando non ce n’era nessuna traccia sui fili della corrente. Mi mettevano allegria con i loro voli bizzarri e acrobatici. I loro nidi erano la quintessenza della tenerezza per me che cercavo di vedere i piccolini e i loro becchi spalancati. Con altrettanta impazienza aspettavo di vedere gli stormi prepararsi alla migrazione. Si schieravano sui fili della corrente, una miriade nera in movimento che mi riempiva di stupore.

Oggi, intravedo qualche rondine per caso che solca il cielo solitaria, la città forse le spaventa. Le città non sono fatte per i popoli migratori. Le città alzano muri invisibili, a volte, invece molto visibili che non lasciano spazio a chi arriva per ripartire. Nelle città non c’è nessuno disposto ad accogliere. Si alzano barricate, si riempie tutto per non lasciare nessuno spazio vuoto. Si lotta come nella giungla, povere rondini!

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