La voce di Lucia

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di Paola Lombardi

Il terreno scosceso, la stradina in cui si riconoscono appena le pietre ricoperte da un manto di muschi ed erba, le scale che scendono a precipizio per risalire verso la mulattiera. Il catino di zinco è rimasto al suo posto. E’ rimasto intatto, sporco dal tempo, ma intatto sul gradino della casa alla sommità del paese. Poco più avanti si prende la strada per la montagna.

Il tempo è trascorso e non invano. Ha cancellato le voci, i sussurri, le parole pronunciate a gran voce. Il lavatoio è essiccato e con l’acqua sono svaniti anche i canti delle donne. Era la vita che scorreva tra i vicoli e le case del paese. C’erano storie, drammi, canzoni, amori, risate. C’erano racconti che si tramandavano di generazione in generazione.
Anche i paesi hanno una vita. E vanno incontro ad una morte lenta ma inesorabile. Nulla sarà mai come prima. Lentamente la vita è scemata come i raggi del sole al tramonto. Le case sono state abbandonate, l’una dopo l’altra, e la vegetazione è tornata a riprendersi il suo posto tra le pietre erodendo la malta. Restano sparute lucertole che attraversano i selci, le orme evidenti dei cinghiali che trovano riparo nella notte tra i relitti delle case. Restano i rovi, le travi dei soffitti crollati. Resta il segno del tempo trascorso. Resta impressa la voce delle donne più anziane che chiamavano le bambine prima del tramonto.

“Lucia! Prendi il catino e vai a riempirlo d’acqua alla fontana”. E la bambina si avviava verso la porta del paese per prendere l’acqua. Lo faceva ogni sera, all’imbrunire, d’estate e d’inverno. Era il compito delle più piccole della casa. Lucia andava, di solito insieme ad altre coetanee. Una sera le capitò di avviarsi più tardi delle altre. Era quasi buio, ma Lucia non aveva paura. Conosceva quelle scale e quei vicoli come la sua casa e non temeva nulla.

Un rumore la sorprese poco prima della porta d’accesso. Sentì un tonfo e poi lo scalpiccio di passi pesanti. Non sapeva se fosse il caso di avere paura, ma restò ferma per sicurezza. Si guardò intorno. Non vide nulla e la luce era ormai scesa. Di nuovo sentì i passi. Stavolta più vicini. Chiuse gli occhi. Li strinse forte forte. Sentì qualcuno che ansimava davanti a lei. Non ebbe il coraggio di guardare, ma sentì il fiato pesante di un animale o di un uomo soffiarle in faccia. Provò disgusto. Si sentì schiacciare da quel respiro affannato. Allora aprì gli occhi per darsi coraggio e vide un uomo o un animale. Sembrava essere tutte e due insieme. Era ricoperto di peli ma aveva il volto di un uomo massiccio.

Si guardarono. Lucia si accorse di tremare involontariamente. Non riusciva a calmarsi. Anche lei prese a respirare affannosamente come quell’essere che la guardava. Fu un istante. Lucia gridò con tutto il fiato e l’essere scomparve. Prese a correre precipitosamente verso la sommità del paese. Correva all’impazzata lanciando urla feroci. Andava verso la montagna. Si accesero le torce, in molti raggiunsero Lucia che tremava come una foglia. Non riusciva a parlare. Era come se nell’urlo avesse sprecato tutto il fiato. L’orrore le stava stampato sul viso e impresso negli occhi. I vecchi capirono che qualcosa era avvenuto. Le vecchie pregarono e lanciarono scongiuri. Ma Lucia non riuscì più a parlare.
E con la voce di Lucia cominciò lentamente a spegnersi la vita del paese.

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