La Bambina scomparsa

Foglio di carta che brucia
Foglio di carta che brucia
Tempo di lettura: 6 Minuti

Sento spesso la gente dire che se fosse o non fosse accaduto un determinato fatto, tutto sarebbe stato migliore.
Lo sarebbe stato davvero?

Me lo chiedo spesso e non so come rispondere. Non riuscire a quietare il proprio animo è una cosa davvero orribile, esattamente come quando un bambino continua a chiederti perché e tu, al secondo quesito, non sai più quale pegno immolare per calmarlo e accontentarlo.

Quando ero solo un ragazzino, a dire il vero avevo quattro anni quindi ero un bambino, ma questo non dovrebbe contare molto, è successa una cosa che ha condizionato tutta la mia vita.
Me ne rendo conto solo ora, in questa stanza.

Mi hanno sempre “accusato” di non aver paura di niente, anche mio padre lo dice spesso: non avere paura di nulla, a questo mondo, è sbagliato.

Mia madre diceva sempre, ogni sera dandomi il bacio della buonanotte, che uno degli augurii più veri che poteva darmi era di cercare qualcosa di cui avere paura e trovare la forza di combatterlo.
Io avevo paura, ho sempre avuto paura.

Il mio terrore non risiedeva fuori dai muri o in mezzo alla gente, se ne stava acquattato tra le cortine del sipario che aprivo sul mio palcoscenico.
Sto divagando.

Ho il bisogno di scrivere questa storia così che io possa bruciarla e mettermi l’anima in pace.
Avevo quattro anni, io e mio fratello giocavamo in giardino a nascondino ed era il suo turno di contare. Avevo pensato di nascondermi oltre una siepe ma mio fratello si divertiva a lasciarmi ore nascosto dietro al suo naso, figuriamoci se avrebbe deciso di trovarmi in fretta, questa volta.

Volevo lasciarlo a cercare invano per qualche minuto e presi la decisione di andare in cucina a versarmi un succo di frutta con dei biscotti per la merenda. Avrei approfittato della situazione per fare un saluto alla mamma: volevo un abbraccio solo per me e stavo andando a prendermelo.

Sapevo che l’avrei trovata sulla sua panca preferita, quella davanti alla finestra che dava sul giardino, mentre leggeva e appuntava sul suo taccuino i passaggi che le erano piaciuti di più.

Doveva essersene appena allontanata, il suo libro era rimasto aperto sui cuscini e aveva dimenticato di mettere il segnalibro, non lo faceva mai.

Ad un tratto, mi accorsi di qualcosa che sbatteva con violenza contro una delle porte e decisi di andare a vedere; forse il cane stava giocando con i miei giocattoli e volevo impedirglielo. La scena che mi trovai di fronte non era quello che mi aspettavo di trovare: mio zio stava tentando di aprire la porta del bagno chiamando mia madre e lei non rispondeva. Vedevo il suo volto pieno di apprensione, preso da una furia che lo dissuase dal fare caso alla mia presenza.

Passarono lunghi momenti e io ero ipnotizzato dalla porta chiusa e dai colpi sul legno.
La porta rimaneva chiusa e io chiamai la mamma. Fu in quel momento che lui si accorse che ero lì. Si affrettò a mandarmi via, dicendomi di tornare da mio fratello e di restarci.
Non capivo più niente, perché lo zio tentava di aprire la porta del bagno in quella maniera e la mamma non rispondeva?

Era la regola: non si doveva chiudere quella porta, era pericoloso se qualcuno si fosse sentito male.
Non potevo restare in giardino, ero spaventato ma non potevo dire quello che avevo visto a Nicholas. Non sapevo cosa avrei dovuto fare ma serviva una mano e decisi di andare a chiamare papà.

Mio padre era a lavoro, non era lontano, avrei preso mio fratello e sarei corso da lui.
Quello era il mio piano.

Ricordavo il percorso, l’avevo fatto tante volte a piedi con la mamma; l’ufficio era distante solo due strade: prima a destra e poi a sinistra al negozio di caramelle.

Nicholas mi teneva per mano e continuava a ripetere che ci avrebbero sgridati, non dovevamo andare in giro da soli ma lo zittii raccontandogli che avevo i soldini per le caramelle e che lo zio aveva detto che potevamo andare. Non volevo mentirgli ma non volevo neanche iniziasse a piangere, non si doveva spaventare e non dovevamo sembrare due bambini sperduti, perché ci avrebbero riportati a casa.

Dopo aver, finalmente, trovato l’ufficio di papà, mi accertai che nessuno ci avesse visto. Non volevo aspettare che il suo segretario mi tirasse il naso e mi facesse comparire monetine dalle orecchie: dovevo andare dritto e trascinarmi dietro mio fratello, cosa non facile di per sé.

Per fortuna la sala d’attesa era piena di persone e nessuno badò a noi. Abbassai la maniglia e la porta si aprì.
Mio padre era seduto alla scrivania, stava per protestare quando ci vide in piedi sulla soglia. Credo comprese subito che qualcosa non andava: non ci era permesso entrare senza che il suo segretario ci aprisse la porta. Io misi le mani sulle orecchie di mio fratello e gli raccontai quello che avevo visto; il papà avrebbe salvato la mamma, ne ero sicurissimo.

Quando arrivammo a casa, c’era un gran trambusto. Attirati dalle imprecazioni dello zio erano intervenuti anche i nostri vicini.

Io mi nascosi dietro a mio padre approfittando per seguirlo. Nicholas volle rimanere in giardino ma mi fece promettere di portargli una limonata.

Nessuno si era accorto della mia presenza.
La porta era stata aperta a forza di calci, sul pavimento del bagno c’era molto sangue.

Mia madre sembrava svenuta tra le braccia dello zio e ora anche mio padre si era catapultato da loro.
I vicini continuavano a dire che avevano chiamato il medico e non doveva mancare molto al suo arrivo.
Non riuscivo a muovermi, ero di nuovo impietrito.

Mia madre era una bambola accasciata in un lago rosso: perché la mamma era tutta sporca di sangue? Provai a chiamarla ma non mi rispondeva, di solito mi sorrideva sempre quando la chiamavo.
Il suono della mia voce riportò tutti alla realtà e mio zio mi condusse via.

Mi mise a sedere in una sedia della cucina, andò a riprendere mio fratello e ci preparò la merenda.
Il dottore arrivò dopo qualche minuto e, trascorsa un’ora, mio padre ci venne a dire che la mamma doveva essere operata, che sarebbe stata bene ma che la nostra sorellina era scomparsa.
Ora mi rendo conto che usò un termine inappropriato ma capisco anche che non volesse spaventare due bambini di quattro anni.

In quel momento non capivo dove potesse essere andata e perché ci fosse tutto quel sangue a terra.
La mamma ci aveva detto da qualche mese che avremo avuto una sorellina con cui giocare, nel frattempo sarebbe stata nella sua pancia e quando sarebbe stata grande abbastanza l’avremo conosciuta ma ora ci era stato detto che era scomparsa. Dove era andata?

Nostro padre ci spiegò l’accaduto in maniera sommaria, anche lui piangeva ed era molto pallido. Quello che io compresi fu che, quella che doveva essere la mia sorellina, in realtà aveva fatto male alla mia mamma ed era fuggita.
Ho sempre avuto paura.

Ero accompagnato dalla sensazione che lei sarebbe tornata di notte mentre dormivo e non sarei riuscito a chiamare il papà; forse una mattina non mi sarei accorto del frastuono e non avrei più rivisto la mamma.
Questa cosa non doveva succedere, quindi decisi che sarei rimasto sveglio tutte le notti e avrei fatto la guardia alla porta della mamma. Non sarebbe entrata se ci fossi stato io a proteggere la soglia.
Ero un bambino sciocco che cercava di consolare suo fratello e salvare la sua mamma da un’ombra che non sapeva neanche che aspetto avesse. Ogni giorno vedevo mia madre sempre più triste: si rifiutava di mangiare, di alzarsi dal letto e di leggere.

I nostri zii facevano avanti e indietro da casa per aiutarla ma nessuno sembrava riuscire a tirarla su di morale. Dovevo assolutamente trovare un modo per cambiare la situazione, quindi mi imposi come giullare di corte, assaggiatore privato e infermiere di fiducia e costrinsi mio fratello a fare lo stesso. Ogni giorno organizzavamo piccoli duelli, spettacolini o lunghi digiuni: se lei non mangiava non l’avremmo fatto neanche noi.

Ci volle qualche tempo ma i nostri stratagemmi iniziarono a funzionare in maniera sempre più efficace. Quando fummo rassicurati che la mamma era tornata ad essere come la volevamo noi, iniziarono le ricerche notturne di quella bambina: l’avremmo trovata e le avremmo chiesto cosa poteva aver mai fatto di male la mamma, per farla comportare in quella maniera.

Non trovammo mai nulla e nessuno, solo i nostri genitori che non sapevano cosa dirci il giorno che gli spiegammo cosa stavamo facendo.
Ormai sono passati anni, nessuno di noi parla mai dell’argomento perché non vogliamo che si rattristi, abbiamo capito da tempo cosa sia realmente accaduto ma la paura di non vederla più o di trovarla di nuovo sul pavimento occupa ancora una parte dei miei incubi.
Spero che la mia sorellina stia bene, ovunque sia andata.

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