Il Rombo della felicità

Tempo di lettura: 3 Minuti

di Emilia Masia

La storia di Cecilia, la protagonista del romanzo è basata sul mio diario di viaggio che ho fatto quattro anni fa in Kenya. Lei rispecchia me stessa, prova le stesse emozioni che ho provato in un mese a Rombo e racconta le storie diverse di persone incontrate nella terra Masai ogni giorno. Dalla prima sera che ho messo piede in terra africana, ho raccolto su carta le mie giornate trascorse, e l’ho fatto in francese, per tenermi allenata con una lingua che stavo ancora imparando. Una volta catapultata di nuovo nella routine frenetica europea ho pensato che avrei dovuto mettere insieme le pagine del mio diario piuttosto che lasciarlo nel dimenticatoio. Volevo continuare ad aiutare Rombo anche da lontano e non solo nel mio piccolo, quindi ho pensato che condividere la mia esperienza raccontandola e dare il ricavato ai masai avrebbe fatto piacere non solo a loro ma anche ai lettori che si sarebbero sentiti parte di Rombo. Cosi, ogni volta che riaffiorava Rombo nei miei ricordi, trascrivevo le pagine dal francese all’italiano, aggiungendo sensazioni che provavo ancora e pian piano è nato Il Rombo della Felicità.

Già dalle prime pagine del racconto, Cecilia si rende conto dell’impossibilità di fare grandi cose per quel popolo in un periodo di tempo così breve, data la mancanza di fondi, di beni di prima necessità e di condizioni necessarie per realizzare qualsiasi progetto senza un notevole sostegno esterno.
In egual misura, inizia a capire la ricchezza di quei luoghi, il dono che le stia concedendo lo ‘Spirito’ di quell’Africa devastata:
“Non posso fare a meno di pensare […]: chi più possiede, si tiene stretto quello che ha e raramente dona agli altri, mentre i più poveri, – in questo caso un popolo che non ha nessun bene materiale, che non si può permettere neppure le porte e le finestre alle abitazioni, – regalano quel poco che hanno e che possiede un grande valore per loro”.

Mi sono spesso chiesta, come lo ha fatto Cecilia nel libro, se il vero scopo di un volontario che approda in questi luoghi dimenticati dal mondo sia davvero altruistico, o sia solo un pretesto per sentirsi in pace con se stessi; se sia possibile ‘dare’ nella stessa misura in cui si riceve. “Hakuna matata”, senza pensieri, è diventato pian piano un mantra, e così Cecilia si lascia andare a tutte le bellezze, le emozioni e le ricchezze interiori che quel posto le sta offrendo, godendo appieno dei benefici che può trarne la sua anima viziata e incontentabile, mutandola… per sempre.

“Dopo una settimana a casa adesso so che il Mal d’Africa esiste, non è una leggenda. È come una trottola che resta dentro di te facendo girare tutte le sensazioni provate e, girando, produce rumore: il rombo della felicità”.
Per me il senso del mio libro è quello di soffermarci di più sulle piccole cose che ci rendono felici quotidianamente. E direi anche che ognuno può coglierci un senso diverso condividendo una storia di un’esperienza con un popolo totalmente differente dal nostro, dalla cultura, dalla religione e dal senso che danno alla vita che vivono. Leggendo le mie parole vorrei che i lettori riuscissero a comprendere che bisognerebbe dare importanza alle cose vere che ognuno di noi ha ma che non sempre vede, che ogni tanto il tempo va fermato per assaporarlo, che la conoscenza di altre culture, altri popoli apre mondi prima sconosciuti e può trasmettere cose belle…e che ognuno nel suo piccolo può rendere felice non solo gli altri ma soprattutto sé stesso.

Perché credo si debba leggere il mio libro? Perché chi ha già fatto un’esperienza simile penso possa rivivere in prima persona il viaggio che ho raccontato. Chi invece si è posto sempre la domanda “ma queste persone che partono così lontano per fare del volontariato, cosa vanno a fare, quando lo possono fare a casa loro?” può invece trovare una risposta a questa sua domanda. E chi è solamente curioso, vivrà un mese alla scoperta di Rombo, del rombo della felicità.

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