Il gatto del vicino

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di Laura De Santis
Da qualche giorno, il gatto del mio vicino di casa è agitato. Tormenta la coda, si agita, gonfia il pelo in attesa di una minaccia incombente. Ogni volta che rientro, a qualunque ora, mi si para davanti in assetto da guerra. E’ una specie di danza quella in cui si esibisce sui gradini della scala del palazzo. Se non fosse per i versi spaventosi che emette sarebbe uno spettacolo interessante, certo ci sono anche gli sputi di cui mi inonda le scarpe.

Ho chiesto agli altri condomini. Sono soltanto io il beneficiario di tanta forza belligerante. Per qualche tempo ho subito questa accoglienza, ma il repentino cambiamento nei miei confronti da parte del micione mi ha insospettito. Alla fine mi sono deciso, sono salito al quarto piano, ho bussato alla porta numero undici e ho chiamato il mio vicino. E’ l’unico dei vicini con il quale si è creato un rapporto. Non dico di amicizia, ma almeno di solidarietà condominiale. Forse perché siamo scapoli tutti e due, forse perché lavoriamo nello stesso settore, forse perché siamo i destinatari dell’odio selvaggio della condomina dell’appartamento tre al primo piano. Dopo il quinto gradino, ecco il gatto venirmi incontro. Agita la coda, gonfia il pelo, emette un verso che somiglia ad un sibilo furente, è determinato a non farmi passare. Dalla rampa inizio a chiamare prima a bassa voce poi quasi gridando: “Carlo! Carlo!”.
Dopo minuti interminabili, la testa di una donna fa capolino dalla porta numero undici. “Carlo non c’è, torna più tardi”.
“Signora, scusi, vorrei parlare con Carlo, quando rientra glielo dica, sono Alberto del piano di sotto”.
“Certamente”, replica la testa comparsa nel riquadro del portone.

Il gatto nel frattempo si è esibito in tutta la sequenza della sua danza di guerra, le mie scarpe sono state oggetto di spruzzi di saliva e di altri liquidi felini. Ritorno a casa e aspetto, incuriosito dalla presenza di una donna in casa di Carlo.
Qualche ora dopo, sento bussare ed è il mio vicino. Ha una faccia stravolta e non sembra affatto in buona forma. Lo invito ad entrare, prima si mostra dubbioso, poi accetta, gli offro una birra e gli spiego dell’accoglienza che mi riserva il suo gatto. “Lo fa anche con me”, mi zittisce Carlo.
“Risparmia gli altri condomini, però”, faccio notare senza riuscire a chiedergli della donna che ho visto in casa sua.
“Sì, da quando c’è mia cugina in casa, Erasmo è impazzito. Mi evita e mi riempie di insulti miagolanti. Non riesco a tenerlo dentro. Si fa pregare anche per mangiare. Quando incontra mia cugina fa finta che non esista. La ignora, con me invece è aggressivo al punto che mi ha graffiato tutto il braccio quando ho tentato di accarezzarlo”.
“Scusa, mettiamo che sia geloso della sua casa, ma io che c’entro?”
“Questo non lo so, forse ti vuole bene”.
“Ah, pensa se mi odiava, che faceva mi cavava gli occhi?”, chiedo indispettito.
“Perché non lo tieni tu? Mia cugina andrà via domenica, potresti adottarlo, no?”
“Non ci penso proprio”, ribatto indispettito e incredulo per la bizzarra proposta.
Nel frattempo sentiamo un rumore arrivare dalla porta, come se fosse un tentativo di bussare, come se qualcuno grattasse contro il portone. Per curiosità vado a vedere.

C’è Erasmo sulla soglia. Il tempo di guardarmi di sottecchi e poi si fionda in casa. Amorevolmente si struscia contro le gambe di Carlo, poi si lancia sul divano e si accomoda sul cuscino. Si addormenta subito sotto i nostri occhi stupefatti. Nessuna traccia del livore covato nei nostri confronti, nessuna danza di guerra. L’enorme gattone ronfa beatamente, al mio tentativo di accarezzargli la testa mi ricambia con sonore fusa.
“Va bhe, allora ciao”, mi dice Carlo.
“Come ciao? E il gatto?”, rispondo agitato.
“Mi sembra chiaro, Erasmo ha scelto te. Tanto è solo fino a domenica. Grazie, domenica sera andiamo a cena insieme, va bene?”, Carlo se ne va senza aggiungere altro.
Guardo il gatto sul divano, il mio vicino che risale le scale e mi chiedo come farò a sopravvivere fino a domenica con un animale estraneo in casa.

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