Tornare

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di Laura De Santis
Decise che era arrivato il momento di tornare. Adriano era giovane ancora, ma non abbastanza da non avere un posto in cui tornare. Si guardò nello specchio e si disse che c’era un passato anche per lui.

Indossò gli abiti del tempo libero, scarpe comode, un bel pulloverino leggero adatto all’estate, si sentì spensierato e si mise in cammino. Con tutte le sue forze desiderava, non solo tornare indietro nei luoghi, ma rivivere intatte tutte le sensazioni provate in un tempo non troppo lontano.

Si mise in viaggio per rientrare dentro di sé, pronto a riavvolgere il nastro, a riattraversare tutte le trasformazioni e i cambiamenti che lo avevano travolto negli ultimi tempi.

Tornò nei luoghi dell’infanzia, si avvicinò con un sentimento quasi religioso al muretto della fontana, osservò la piazza. Tutto gli apparve rarefatto quasi un sogno ad occhi aperti. Andò a sedersi al tavolo della gelateria. Certo l’insegna era cambiata negli ultimi tempi, adesso aveva una luce al neon sparata che non gli piaceva molto, ma questo non spense lo spirito evocativo di Adriano. Compiaciuto, si stupì di non riconoscere nessuno, nemmeno un volto familiare, nemmeno nei suoni delle inflessioni dialettali sentì tintinnare il ricordo. Poi, arrivò il cameriere, un ragazzino con le lentiggini, e gli chiese, con tutta la serietà di cui si sentì capace, una coppa al gelato con nocciola, crema e pistacchio. “Una coppa grande, con panna, mi raccomando”, proprio come avrebbe fatto da bambino. Il cameriere scostante filò via senza dire nemmeno un grazie, un prego, senza accennare nemmeno un sorriso.

Dopo qualche minuto, il ragazzo lentigginoso tornò con una coppetta gelato nel tipico cartoncino colorato e con il cucchiaino di plastica.

“Cos’è questo?”, chiese contrariato

“La sua ordinazione, signore”, rispose pronto il cameriere

“Ma no! io volevo la coppa gelato, quella vera, te la ricordi? quella di vetro a forma di campanula, quella grande, con il sottopiatto, con il cucchiaino lungo di metallo. Quello voglio, non certo questo coso qui”.

“Mi dispiace, signore, lei è il terzo cliente dall’inizio della settimana che fa questa richiesta, ma ormai questa è una gelateria moderna, abbiamo solo questi contenitori, oppure la cialda per il cono. E basta. Perché lo volete nel vetro, il gelato? E’ sempre lo stesso, sa? Mica cambia il sapore. I gelati che si vendono qui sono buonissimi, li produce una delle industrie dolciarie più famose del paese, cosa crede?”, puntualizzò il giovane cameriere.

“Perché non lo fate voi il gelato?”

“E no, certo che no, cosa crede”.

Nel frattempo, la coppetta anonima si era quasi liquefatta. Adriano osservò le gocce di liquido disciolto sul tavolino. Si sentì avvilito.

“Grazie, non lo voglio più il gelato”. Si alzò, lasciò anche la mancia al ragazzo che lo osservava contrariato.

“Scusami, chi sono gli altri tre clienti che hanno fatto il mio stesso ordine?”

“Non lo so, delle persone anziane che dicono di aver vissuto qui tanti anni fa. Non so chi sono e nemmeno dove sono andate. Però anziani”.

“Come me?”, chiese un po’ interdetto Adriano.

“Più o meno”, si strinse nelle spalle il cameriere.

Adriano si allontanò in fretta. Decise di tornare a casa. Non si può fermare il tempo, non si può riavvolgere il nastro. Decise di non raccontare niente a sua moglie, lo avrebbe preso in giro.

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