L’impossibile era lì

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di Laura De Santis
L’impossibile era lì, a portata di mano. Tutto di quella giornata si rivelò incredibile a pensarci.
Mi alzai presto, e già questo non capita mai, mi svegliai di buon umore, con il sorriso sulle labbra, e questo è un evento eccezionale. Spalancai le finestre, vidi una luce nuova, diversa. Respirai a pieni polmoni l’aria della città. Andai in cucina e mi preparai un caffè, accesi la radio e in programmazione c’era una canzone che mi piaceva tanto quando ero molto giovane. Non l’ascoltavo da allora. La riconobbi subito, dalle prime note, ricordai le parole e canticchiai come non facevo più da secoli. Mi preparai, canticchiando ancora, mi vestii con gli abiti di tanti anni prima. Uscii sorridendo e comprai il giornale all’edicola all’angolo. L’edicolante mi salutò cortesemente, io risposi gioioso. Salii in macchina e andai in ufficio. Appena arrivai nella mia stanza, mi raggiunse la segretaria del piano, mi salutò. Non succedeva spesso. Pronunciai il mio “Buongiorno, signorina”. Lei mi guardò e mi sorrise. Più tardi arrivarono dei colleghi, chiacchierammo, prendemmo un caffè e mi sorpresi. Dissi tra me: “Ma sono persone, sono persone piacevoli. Perché non me ne ero mai accorto prima?”. Li guardai per un attimo con incredulità. “Grazie per la chiacchierata”, disse uno, “Bella quell’osservazione sulla fontana, mi ha fatto ridere”, disse l’altro. Mi sentii meglio.

Quella giornata era diversa, si sentiva nell’aria. Sorrisi ad un immaginario me stesso che mi stava guardando dal monitor del computer. Dopo la pausa pranzo aiutai un collega, mi ringraziò, io ringraziai lui. Sorrisi ancora e ancora. Alla fine dell’orario mi diressi verso casa. Non mi sentii né stanco né irritato. Il traffico non mi sfiorò neppure. Anzi, mi sembrò di trovare la strada vuota. Tutto andò liscio. Pensai di essermi meritato una cena. Andai al supermercato e comprai delle verdure, la pasta, una bottiglia di vino bianco.

Mentre entravo in casa, sentii il telefono suonare. Arrivai giusto in tempo per rispondere. Una voce femminile: “Giovanni?”, chiese interrogativa. “Sì, sono io”, risposi. “Sì, Giovanni, sono Claudia, la ragazza che abita al terzo piano. Scusami se ti telefono, ma avrei bisogno di un favore. Mi è andato in blocco il computer. Tu sapresti aiutarmi?”. Non ricordai subito chi fosse Claudia, non focalizzai immediatamente il suo aspetto, ma sorrisi e le dissi: “Sì, certamente. E’ un portatile?”, “Sì”, sussurrò la voce. “Allora, perché non sali da me? Sto preparando la cena. Ti aspetto tra un’oretta?”. Lei disse solo “Sì” e riagganciò. Non pensai a come avesse avuto il mio numero. Non mi chiesi perché chiamasse proprio me. Non pensai a nulla. Sorrisi, andai in cucina senza cambiarmi, con la camicia e la cravatta appena allentata. Preparai una pasta con le zucchine, un’insalata calda di zucchine, carote e finocchi e stappai il vino. Lei arrivò nel giro di poco. Quando me la trovai davanti pensai fosse bella. Sicuramente più bella delle donne che avevo frequentato. Sorrisi. Lei si mostrò affabile. “Non sapevo fossi così divertente”, mi sussurrò ad un certo punto della cena. Sorrisi senza dirle nulla.
L’impossibile era lì, davanti a me, a portata di mano.

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