Lei è più bella della Luna. È armonia

Tempo di lettura: 5 Minuti

Gli avevo dato tutto. Ogni particella del mio tempo, del mio sguardo, del mio corpo, del mio cuore, del mio respiro. Ma LUI mi deturpava l’anima. Diceva che non ero abbastanza armonica, soda, attraente. Non mi amava. Ogni giorno ero fragile e spenta, simile ad una foglia verde, caduta da un albero troppo presto.

Poi conobbi Chiara.

Non so come, ma m’invaghii subito di quella ragazza che, sebbene più giovane di me, seppe darmi ciò che Cesare non era stato in grado di darmi: me stessa.

Ricordo quando mi afferrò la mano per la prima volta, non ho mai dimenticato quella delicatezza. La mano di una donna che afferra quella di un’altra è piccola e morbida. Sino a quel momento, ero stata abituata alla mano maschile: più ampia, più ruvida, più autoritaria; una mano in cui la mia si perdeva, restava come in gabbia, intrappolata da quella stretta forte. In quei momenti, avevo la sensazione che il testosterone, la volontà maschile di prevalere sulla donna fosse persino in quella stretta. Era come se non avessi potuto scappare, come se fossi stata sua, senza riserve, come se, con quella stretta, Cesare avesse voluto dire al mondo che appartenevo a lui.

In quel momento, capii che, quando due mani femminili s’incontrano, c’è parità di sensazioni. Certo, la mano di una potrà essere più grande di quella dell’altra, persino più ruvida, ma avrà sempre un qualcosa di lieve, di dolce, di poetico.

Poi ci fu quel bacio.

Davanti a quel bar, alle due di notte, col freddo che mi entrava nelle ossa, immediatamente assopito da un calore inaspettato.
Baciare una donna è stata una delle esperienze più belle che abbia mai fatto; la bocca femminile è morbida, accogliente, dolce, delicata ed anche fragile. Già, la bocca di una donna può essere anche fragile, se non la si tratta con sensibilità e tatto. Tante, tante volte, mentre Chiara dormiva, sfioravo con i polpastrelli delle dita quella bocca piccola; il tocco era così lieve, che non si è mai svegliata e nemmeno lo è mai venuto a sapere. Un segreto, un piccolo segreto tra me e quelle labbra.
Non ero mai stata con una donna. Tutto questo mi spaventava, come se avessi dovuto gettarmi da un palazzo in fiamme, senza avere la sicurezza di cadere su un qualcosa di morbido. Avevo una paura atroce. Paura di ciò che era diverso rispetto a quello che avevo sempre fatto, paura di non essere all’altezza. Paura del giudizio della mia famiglia. Ricordo, ricordo tutto come fosse ieri. Ricordo quella prima volta e sono in grado di ripercorrerla, come se stessi rileggendo la mia fiaba preferita.

Incantesimo. Magia. Volo. Liberazione. Tremolio. Respiro. Profumo. Ogni volta è così. Chiara mi bacia ancora e ancora e ancora, poi si mette dietro di me e, dopo avermi spostato i capelli da un lato, percorre, col polpastrello dell’indice, la spina dorsale ben in evidenza ed io ho la sensazione di essere su una nuvola soffice e calda. Cosa mi manca, in questo momento? Mi stendo supina e tendo il capo verso di lei, senza parlare. Voglio quella bocca, la pretendo adesso, presa dalla smania di sentirne il sapore, presa dalla passione che mi ha soggiogata, ma che ha spazzato via dal cuore anche il più piccolo granello di pudore e di timidezza. Quando Chiara avvicina il viso al mio, mi sento mancare. Ci siamo noi due, il resto non conta, è il nulla.

Ero tra le braccia di Chiara, che mi teneva stretta come se fossi stata parte del suo organismo: la stessa importanza di un braccio o di una gamba. In quel momento, non pensavo a niente. Pensavo solo che ero felice. Mi girai e mi misi a fissare quella giovane donna che mi aveva strappato al mio destino infelice. Dio, mi sentivo così innamorata.
“È una fiaba. L’armonia del tuo corpo è una fiaba”.
Mi reggevo la testa col palmo della mano e parlavo piano, contemplando le sue curve. I ricci le cadevano, morbidi e disordinati, sulle spalle. Gli occhi erano ancora lucidi di vibrazioni del corpo e dell’anima. La bocca era socchiusa e accennava un sorriso malizioso, quello di chi sa di essere osservata e contemplata.

Tremavo: la mia donna vanitosa. Il seno era leggermente spostato di lato e mi soffermai a guardarlo meglio, come se non lo conoscessi: le aureole erano due macchie grandi e brillavano, come corone regali. Il ventre, largo ed accogliente, sussultava a causa del respiro. Ai lati, la rotondità dei fianchi dava l’idea di un qualcosa di perfettamente geometrico. Armonia. Nel corpo di una donna, c’è armonia. Le proporzioni, i lacci invisibili che legano un arto all’altro in una relazione quasi poetica. Questa è armonia.
Il corpo di Chiara era una strada da percorrere, piena di segreti. La strada che porta alla piccola e dolce collina, che poi, dita smaniose di scoprire segreti trasformano in un vulcano in eruzione. Il desiderio produce lava e magma in grandi quantità e il piacere è esploso, senza preavviso. La strada si percorre lentamente, sfiorando piano, pianissimo, ogni singolo punto che provoca un sospiro, un gemito. Un fiore, un’ape, una farfalla. Sulla pelle, se si vuole, c’è impressa l’armonia della natura.

Mi rinsacco e incrocio le braccia sul petto, perché una raffica di vento mi ha appena tolto il respiro. Il sole di novembre inizia a calare troppo presto e questo mi uccide. Fisso la foto sulla lapide e la prima lacrima che solca il mio viso viene asciugata dal vento, in una manciata di istanti. Mi bacio le dita e, umide, le porto alla foto di Chiara: ai suoi occhi, ai suoi capelli, a quel sorriso a cui devo la riscoperta di me stessa, a quelle labbra che hanno mantenuto il segreto, fino alla fine. Ho il viso freddo. Maledetto vento. Maledetta morte, che ha portato via da me una parte vitale del mio corpo. Maledetta me, che non sono riuscita ad allontanarla da quella malattia che la devastava. Ogni giorno le toglieva qualcosa e, uno degli ultimi giorni, le tolse persino il suo bellissimo sorriso.

Chiara mi manca.

Vengo qui ogni giorno e le porto un mazzo di fiori di campo, i suoi preferiti. “Così semplici, così poco lussuosi, a volte scartati da molti, dal fioraio! Per questo mi piacciono. Perché non tutti riescono a vedere la spontaneità dei fiori di campo”. Così diceva, la mia Chiara.

A domani, mio unico, eterno amore.
Che le stelle ti facciano compagnia, stanotte.
Che ti donino un po’ del loro calore,
tanto da non farti sentire il freddo della terra.
Che la Luna non sia troppo vanitosa, con te.
Tu sei più bella di lei.
Lo sai, vero?
Riposa, armonia.

Rispondi