Le cartoline in ospedale

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di Laura De Santis
Scale. Porta scorrevole. Timbrare badge. Primo corridoio a sinistra. Tre gradini. Porta. Ufficio. Alzare le serrande. Aprire il registro. Sedersi e aspettare. Tutte le mattine. Loreto va al lavoro tutte le mattine. Dal lunedì al venerdì. È un infermiere, ma adesso non cura più i malati. Fa l’impiegato. L’assistente del medico. Aggiorna i registri, fissa appuntamenti, li disdice. Telefona. Rassicura. Ascolta, ma non cura.

Il medico arriva sempre in ritardo. Loreto tiene a bada i pazienti. “Aspettate – dice loro – il medico adesso arriva”. Loro in sala d’attesa sbuffano e non gli credono.

Loreto torna in ufficio. Guarda le cartoline che custodisce sotto un ripiano di vetro. Gliele hanno spedite i colleghi: Maldive, Canarie, Tailandia, Cina, Londra, Madrid, Praga, Seychelles, Caraibi, Messico, Mosca. Sono tante, dietro c’è scritto quasi sempre “tanti saluti”. Loreto le guarda, le rilegge quando il medico ritarda. “Buongiorno!”, canticchia il medico. Loreto si sente a disagio. Sorpreso con le cartoline in mano. “Ah, il nostro viaggiatore. E quest’anno Loreto caro dove andrai? Io e mia moglie andremo in Kenya. Abbiamo già prenotato”. Loreto è interdetto. Sbatte le palpebre e mormora: “ma, veramente…”, si riscuote dai pensieri e ammette: “Non lo so ancora. Comunque ci sono molti pazienti in sala d’attesa. Faccio entrare il primo”. “Sì, certamente”, risponde il dottore.

Sulla porta Loreto pensa di dirglielo che di certo non è lui ad aver fatto quei viaggi. Non potrebbe permetterselo. Lui mica lavora in reparto! Lui mica fa gli straordinari! Lavora come impiegato, ormai. Poi ci ripensa. Pensasse quello che vuole quel dottore. “Se va in Kenya, ci mandi una cartolina”, dice Loreto facendo strada al primo utente della lista.

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