La sveglia

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di Laura De Santis

“Ancora cinque minuti, ancora cinque minuti”, Giovanni si rigira nel letto e mugugna al suono della sveglia. Non riesce ad aprire gli occhi fino a quando, cinque minuti dopo, la sveglia non torna a trillare. Giovanni solleva le palpebre nella stanza buia e fredda al di là della coltre morbida del piumone. Allunga il braccio per spegnere la sveglia, accende la luce e mugugna ancora qualcosa. Deve alzarsi. È già tardi, deve andare al lavoro. Si rigira ancora un po’ tra le coperte e poi, con uno slancio, si alza. Tutte le mattine fa la stessa cosa: si prepara il caffè mentre controlla di avere tutto l’occorrente per il lavoro. Beve il caffè caldo, con almeno due cucchiaini di zucchero, poi va in bagno, si lava, si veste, cerca le chiavi, si guarda intorno, spegne la luce, apre la porta, la chiude girando le mandate e va al lavoro. Tutto questo in quaranta minuti. “Pronto in quaranta minuti”, si dice con un certo entusiasmo Giovanni. Ora lo aspettano trentacinque minuti in auto senza traffico e sarà in ufficio in anticipo di quasi venti minuti. Giovanni calcola la sua vita in minuti, scandisce le sue azioni in segmenti di tempo. Non sbaglia quasi mai i suoi calcoli e quasi mai incontra contrattempi. Arriva in anticipo. Accende il motore, si sente gratificato, guida fino in ufficio, anche se la strada gli sembra leggermente diversa. Non ricordava di aver mai attraversato un ponte, eppure… quel palazzo è il suo ufficio. Giovanni è perplesso. Appena varca la porta della sua stanza squilla il telefono. Sente di fare uno sforzo immane per prendere la cornetta e dire “pronto”. Sente la sua voce impastata e assonnata. Un urlo lo investe attraverso l’orecchio destro. “Dottor Serini!”, sente gridare, è il suo superiore. “Sono le undici e trenta e lei dov’è? È la quinta volta in questo mese che arriva in ritardo. Che sta facendo? Vuole essere licenziato?”.

Giovanni ha un moto d’amor proprio e ribatte: “Dottore, io sono in ufficio. Mi ha chiamato al mio numero interno”. Giovanni non capisce il suono che percepisce attraverso la cornetta. Sente un sibilo che deflagra in pochi secondi: “Dottor Serini! Non accetto le prese in giro! Lei non mi può prendere per i fondelli! Lo sa che le dico? Ci resti a casa. Lei è licenziato!”
Giovanni resta con la cornetta in mano. Il direttore ha riagganciato. Giovanni non capisce. Gli verrebbe da piangere. Si sente vittima di una grave ingiustizia. È in quel momento che un lampo gli attraversa la mente e si accorge di essere al buio. Accende la luce. È a letto. Al caldo, avvolto nel piumone. Aveva sognato di alzarsi, ma era rimasto nel letto. Un’onda di angoscia lo scuote, vorrebbe fare qualcosa. Cerca la sveglia, sono le undici e trentadue. “Non c’è più niente da fare”, dice a se stesso. Fuori fa freddo, il letto è confortevole e Giovanni si sente spossato da una stanchezza profonda. Si volta su un lato e si riaddormenta.

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