La doccia

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di Danilo Del Greco

Il cliente è appena andato via. Alexandra estrae con rabbia dalla borsetta un deodorante spray dal delicato sapore di arancio. Si cosparge il corpo più volte. Si avvolge in una nebbiolina profumata. Cerca di scacciare l’incubo a colpi di nebulizzatore. Ma quell’odore, quella puzza, non ne vuole sapere di abbandonarla. L’uomo, carnefice e vittima insieme, con il suo sudore, il suo alito pesante, le sue carni mollicce e rivoltanti gliel’ha lasciata addosso.

Alexandra ora sembra uscita da un aranceto siciliano, ma è nel suo animo che quell’olezzo si è annidato e da lì è impossibile toglierlo. Come un marchio indelebile, “rosa scarlatta” del Terzo millennio, sta lì a ricordarle la sua storia.
Venti anni, occhi blu, rumena, Alexandra si siede sul guard rail. Si raggomitola, si fa piccola piccola. Vorrebbe sparire. Il ricordo del suo Paese, della sua famiglia, della sua infanzia, riaffiora dirompente lacerandole le viscere. La giovane scoppia in un pianto senza freni.

Un altro cliente lampeggia, reclama la sua attenzione. Quando Alexandra si avvicina al finestrino il suo viso da bambina tradisce una sofferenza profonda. Il disagio di una vita che non aveva mai immaginato di dover vivere, di un lavoro immondo che la fa sentire sporca, di una schiavitù dalla quale non riesce a liberarsi. Si accosta malvolentieri e distrattamente. Si intuisce che pensa ad altro: si chiede come sia finita su quella strada, in una città sconosciuta, in una notte buia e dal sapore di anime marce, a vendere il suo bel corpo a uomini che non avrebbe mai voluto incontrare e che ogni volta le lasciano solo immondi fetori.

I suoi occhioni sono ancora bagnati di lacrime e di dolore ma riescono ugualmente a rischiarare il buio dell’abitacolo. Il cliente le chiede quanto vuole. Il suo sguardo ha un guizzo, come se d’improvviso si fosse svegliata da un lungo letargo: “Una doccia… Per favore – supplica con voce flebile – non voglio soldi, fatemi fare una doccia. Devo togliermi questo tanfo di dosso”. Alexandra in realtà profuma come il più bello dei fiori d’arancio, ma lei non lo sa. Dentro di sé ci sono solo i putridi miasmi dell’ennesima notte di tristezza e angoscia. “Una doccia”, ripete quasi in trance mentre, senza capire, il cliente accelera e si allontana.

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