Il dissoluto (im)punito

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(racconto liberamente tratto dal Don Giovanni di W. A. Mozart)
di Marina Fichera

Odio perder tempo a incipriare la parrucca. Che operazione complicata e noiosa! D’altra parte senza non potrei neanche uscire in campo San Polo. La tolgo solo quando sono avvolto tra fresche lenzuola di lino e profumi di donna. Praticamente ogni notte.

Questa sera andrò alla più grande festa dell’anno. Nel palazzo Ducale si festeggia San Marco, il protettore della nostra amata città, Venezia. Questa sera deve essere tutto perfetto. Come sempre.

Profumo di acqua di Colonia, ottima e sapiente miscela di bergamotto, cedro e neroli dei migliori maestri di Grasse, e un tocco di cipria sul viso. Sono bellissimo e affascinante. Come sempre.

Anche stasera ho un obiettivo ben definito, io non mi muovo mai improvvisando. La Marchesa Delacroix sarà mia, questa notte. E domani sarà un altro giorno per ricominciare da capo.

Lei è bella, bellissima. Una candida pelle d’avorio con gote purpuree, limpidi occhi di cristallo, un corpo di burro e la grazia innata tipica delle nobildonne parigine. La desidero ardentemente da quando la vidi la prima volta, mentre era con il Marchese, due settimane or sono.

Questa sera so già che la conquisterò. Un gioco iniziale di sguardi, ammiccamenti. I miei approcci furtivi e le sue clandestine risposte, con il ventaglio. Se sarà subito disponibile a incontrarmi lo sventolerà tenendolo completamente aperto. Se vorrà fare la preziosa lo sventolerà semichiuso.
E’ un linguaggio che conoscono le donne e pochi fortunati uomini, tra cui me. Se lo terrà semichiuso sarà un po’ più impegnativo, bene, è ciò che preferisco! Le prede facili le lascio agli altri, agli uomini comuni.
Mi avvicinerò a lei e inizierò a sussurrarle parole dolci come il miele e fluenti come preziose poesie. Le dirò quanto vuole sentirsi dire. Che lei è la mia dea. E che voglio adorarla senza limite alcuno.

E lei cadrà tra le mie braccia come una foglia in autunno nel sottobosco, certa che sia sincero, perché io brucio di ardente passione, come un perenne fuoco greco, per tutte le donne.
Tutte, a patto che siano giovani e belle. Questa o quella per me pari sono a quant’altre d’intorno, d’intorno mi vedo; del mio core l’impero non cedo, meglio ad una che ad altra beltà. La costoro avvenenza è qual dono di che il fato ne infiora la vita; s’oggi questa mi torna gradita, forse un’altra, forse un’altra doman lo sarà, un’altra, forse un’altra doman lo sarà¹.

Poi le darò appuntamento, nella sua stanza profumata di violetta e cipria, per la notte stessa. Lo farò con la stessa solennità di un appuntamento con la morte. Non potrà dire di no. Nelle fresche lenzuola di lino possiederò il suo corpo e la sua anima per l’intera notte. Come sempre.
Le donne, la mia religione. E io devoto sacerdote, in ginocchio sull’altare dell’amore.

Strano però, ho dedicato loro l’intera mia vita, pur non avendo fede. Le bramo selvaggiamente ma non ne amo nessuna. Almeno non più.
E’ una specie d’istinto di sopravvivenza. Qui nel petto ho un sasso, inespugnabile come un antico castello e freddo come ghiaccio.

Il mio cuore è in fondo alla laguna. Me lo strappai e lo gettai là nel profondo melmoso, dove i pesci se ne nutrirono, quasi vent’anni fa.
Lisetta era una sartina, giovane e fresca come un venticello primaverile. Io la conquistai, come tante prima e dopo di lei, ma lei era diversa da tutte le altre. Era vibrante di vita e semplicità. Non pretendeva nulla, perché conosceva il segreto del dono dell’Amore. L’amavo, davvero, come mai era accaduto nella mia vita. Ma non riuscii a non tradirla.

Una, due, dieci volte… Ogni volta ritornavo da lei come un dannato davanti alle porte dell’Inferno, pronto a essere eternamente condannato. E lei ogni volta mi riapriva i cancelli del Paradiso e mi accoglieva sul suo seno.
Fino a quando non rimase incinta ed io le dissi che non potevo permettermi un figlio. Anzi, proprio non lo volevo, quel figlio. Non la vidi per alcuni giorni, poi vennero a chiamarmi. Era morta a causa dell’aborto a cui si era sottoposta.
I pesci furono molto felici del lauto pasto che fecero con il mio cuore. Lo gettai loro ancora caldo e grondante di sangue.

Ah! Non riescono proprio a resistermi, le donne, senza eccezion alcuna. Talune sono più restie, altre cedono senza proferir sospiro, ma alla fine tutte scivolano con me nella più dolce benedizione. O, forse, nel peggior peccato mortale.
Le donne, la mia maledizione. E io squallido peccatore, in piedi sull’orlo dell’abisso.
In Italia seicento e quaranta, in Almagna duecento e trent’una, cento in Francia e in Turchia novant’una, ma in Spagna son già mille e tre…²

  1. Dal Rigoletto. G. Verdi e F. M. Piave (1851)
  2. Dal Don Giovanni. W.A. Mozart e L. Da Ponte (1787)

 

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