Forme e colori

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Rabbia, amore, affetto, spavento… Juri aveva una scatola per tutto o quasi. Aveva capito, sin da piccolo, che il mondo e il suo motore poteva essere messo in un contenitore.
Ad ogni cosa un suo colore, ad ogni cosa una forma.
La sua capacità di ordinare le cose, e spesso anche le persone, aveva iniziato a manifestarla verso i dieci anni.
Un giorno mentre si occupava di posizionare in maniera logica parte delle sue macchinine: rosse, gialle, blu, arancio, verde, viola e così di continuo aveva sentito la madre litigare con sua sorella, la non tanto cara zia Amelia.
Le due donne si erano infilate in un lungo e chiassoso discorso sulle responsabilità, Amalia rimproverava sua sorella di essere sempre stata superficiale e di non dedicarsi in maniera adeguata alla sua famiglia, che comprendeva oltre a Juri anche un compagno che si faceva vivo rare volte e un cane.
Da parte sua la madre di Juri le rinfacciava il suo totale servilismo e attaccamento ai soldi. Di quelle discussioni se ne facevano molte, sempre quando la zia Amalia faceva storie per dare qualche soldo a Irma la mamma di Juri.
Lui, Juri, di tutte quelle chiacchiere era poco cosciente. Sentiva e basta.
Mediamente però la fine era sempre la stessa dopo qualche ora di discussione la zia prendeva dalla tasca il suo borsello e lasciava sul tavolo dei soldi. Questa volta no, le due si erano lasciate tra grida fuori dal consueto e la zia era uscita sbattendo la porta.
Irma invece si era piegata sul tavolo della cucina e lo sconforto la faceva singhiozzare.
D’istinto prese una scatoletta deformata dall’umidità e la portò alla mamma, lei senza dire nulla la prese, era una di quelle delle sue vecchie macchinette. Lei sorrise e Juri iniziava a capire il potere dei contenitori. Ma soprattutto delle forme che questi dovevano assumere per essere efficaci, ovviamente non tutto in quel momento, ma iniziava a percepire qualcosa.

Da grande poi aveva deciso di dare sfogo alla sua inclinazione e di arruolarsi nel ordinato mondo degli archivisti.
Durante le ore di lavoro metteva in riga le innumerevoli pagine di vecchi documenti e spesso si divertiva a riordinarle secondo una logica diversa dando sfogo ai fatti e non alla cronologia spesso venivano fuori cose divertenti ma senza senso.
Durante il suo riposo invece pensava, progettava e realizzava contenitori emozionali.
Abitava ormai da solo da anni. Lontano dalla sua città natale a casa, oltre a mandare qualche soldo, a seconda dello stato d’animo della madre, inviava anche forme strambe di contenitori.
La madre non aveva la minima idea di come poterli utilizzare, poggiava tutto in una stanza e lì restavano, qualche volta li regalava a qualche ragazzino soprattutto quelle più belle, quelle fatte in legno. Le piaceva vantarsi del suo ordinato e spesso ordinario ragazzo.
Quando questo accadeva, cioè che Irma regalava le sue scatole ad estranei, Juri la tempestava di domande. Chiedeva cose impensabili tanto che la povera Irma iniziava a preoccuparsi per lui, ma poi si ravvedeva e ci rideva sopra.
Con il tempo aveva imparato a costruire contenitori multi emozionali, cioè capaci di trattenere fusioni di stati d’animo.
Ma una cosa ancora non era in grado di bloccare, fermare e catalogare: la gioia dei bambini. Eppure erano anni che ci provava, ma nulla, riuscivano sempre a scardinare tutto e mettere il mondo in disordine creando squilibrio.
E il mondo andava riequilibrato.
Sapeva che metodo e disponibilità sono la chiave per dei buoni risultati ma il caso, ovvero il disordine quello che a lui poco piaceva, rappresenta una spinta considerevole e anche un grosso pericolo.
E proprio il caso gli offrì l’occasione della vita.

Qualche giorno prima parlando con la madre lei aveva accennato al fatto di aver regalato uno dei suoi contenitori ad un ragazzino. Ad un giovinetto che si aggirava nei pressi della casa e che questo una volta ringraziata la signora Irma se ne era andato senza fare tante feste. Di solito le sue “scatole” piacevano ai bambini viste le loro forme e colori, ma per questo ragazzino non sembrava la stessa cosa.
Juri capì immediatamente su cosa si era imbattuto: il bambino zero.
Riempi come al solito la madre di mille domande ma sentiva che le rispose erano del tutto insufficienti e così prese due giorni di ferie e immediatamente tornò al paese.
Irma non si aspettava tale visita e di conseguenza non aveva preparato nulla, di solito non preparava molto, ma in questo caso ancora meno.
Juri aveva sempre lo stesso aspetto ma una frenesia maggiore, per Irma la cosa era insospettata.
A malapena diede un bacio alla madre che subito si fece spiegare chi fosse e dove abitava il ragazzino.
Con qualche perplessità e indecisione riuscirono ad arrivare a capire in quale casa abitava.
Juri non mangiò nemmeno la finta cena improvvisata da Irma e si diresse subito verso la casa del ragazzino, era estate e faceva buio molto tardi
Si accostò al cancello e si mise a sbirciare all’interno della casa e in un angolo vicino una grande altalena c’era il bambino.
Aveva con sé il contenitore e in maniera del tutto tranquilla se lo passava tra le mani. Era evidente che non era il bambino gioioso che la madre aveva descritto prima che prendesse il regalo.
Juri era contento, finalmente poteva catalogare tutto, ma allo stesso tempo qualcosa lo metteva a disagio e doveva capire meglio, doveva capirsi meglio.
E con sé non aveva il contenitore del disagio, avrebbe fatto passare la nottata e poi si sarebbe messo a studiare il suo caso zero.
La notte di solito porta consiglio, ma questa portò solo insonnia, aveva provato anche ad usare tutti i contenitori che stavano a casa della madre, ma nulla tutte le sue emozioni non si placavano. Sentiva sempre più chiaramente quanto era innaturale quella situazione, per lui e per il ragazzino.
Non fece fare giorno che si precipitò nei pressi della casa e con tutta la paura che aveva scavalcò il cancello e si mise a cercare la stanza dove il bambino dormiva, fortunatamente d’estate le finestre si lasciano aperte.
Entrò e riuscì subito a trovare quello che cercava. Lasciò sul comodino un contenitore diverso, di carta, con dentro una forma sportiva di colore verde, e di corsa tornò a casa.
Aveva tra le mani il pezzo più pregiato della sue produzione.
Un contenitore grande più o meno come la mano di un adulto e con molti angoli, così tanti che sembrava una sfera dal colore indefinito, forse la somma di tutti i colori esistenti, eppure lo sentiva estraneo, non suo, non funzionale al progetto. Non più funzionale all’ordine.
Dopo tanti anni aveva la perfezione tra le mani e si sentiva orgoglioso e allo tempo svuotato di una missione.
In quel preciso momento si fermò a bordo strada si sedette sul marciapiede fece un bel respiro e con tutta la forza che aveva scaraventò il contenitore a terra, il quale si ruppe in mille pezzi.
E come aveva capito nel suo lavoro, mischiare i fatti con la loro cronologia non porta mai molto lontano. Così capì che il mondo poteva essere diverso da come lo voleva, magari non molto, ma diverso.

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