Come nasce un sogno

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Vi racconto come nasce un sogno.
Il mio nasce una sera d’agosto, sotto un cielo stellato. Nasce in pizzeria, in compagnia del mio amore. E sì, perché le cose belle non si fanno mai da soli. Ho prenotato il tavolo, lo stesso di sempre, quello sotto il secolare ulivo che se potesse parlare quante storie racconterebbe… Oramai mi sono affezionato, all’ulivo. Mi siedo e gli do le spalle, ma non vuole essere un gesto irriverente nei suoi confronti, è che mi piace stare così, mi sento protetto.

È stata una giornata afosa, ma l’aria frizzantina della sera sa di premio per tutte le insofferenze patite fino a quel momento. Saluto il proprietario, anche lui vecchio amico. Nel frattempo giro e rigiro tra le mani il cubetto di legno in cui è pirografato il numero nove, il numero del nostro tavolo. Poi sopraggiunge, timido e titubante, un ragazzo inviato a servirci. Il poveretto ha più l’aria da missionario che da cameriere. È nuovo, è la prima volta che lo vedo. Prende l’ordine e cominciano i casini. I signori del tavolo a fianco, arrivati prima di noi, iniziano a fare storie perché sono insoddisfatti del trattamento. Io rifletto, mai potrei infierire sul quel ragazzo indifeso. Piuttosto mi alzerei a portare io i piatti al posto suo. Sarà perché non mi manca nulla, ho lei e l’albero di ulivo che questa sera mi ispira particolarmente. E poi fra poco gusterò la mia pizza, semplice e buona. Già sento l’odore di basilico fresco che si mischia a quello del pomodoro.

I signori del tavolo a fianco hanno pagato e se ne sono andati con grande sollievo del cameriere. Il proprietario, al contrario, è una polveriera pronta ad esplodere. L’occasione giusta si verifica allorquando il ragazzo, che per il bene suo sarebbe il caso pensasse a qualche mestiere alternativo, inverte gli ordini del tavolo nove, il nostro per intenderci, con il sei. «Il nove e il sei sono uguali», protesta lui, «come faccio a distinguerli?». Il proprietario schiuma rabbia da tutti i pori ma, per rispetto dei clienti, riesce a trattenersi. Il suo unico gesto di stizza consiste nell’afferrare il nostro numeretto e sbatterlo con foga in faccia al ragazzo affinché gli resti impresso per sempre. «Posso capire che ancora non sei pratico con il lavoro, ma questo è il numero nove perché ha il trattino sotto. E poi ricorda che io sono un ristoratore, non un professore di matematica». Dopo qualche minuto di imbarazzo il ragazzo torna con la pizza giusta che gustiamo con gioia e riconoscenza. Poi d’improvviso, come se ci fosse qualcuno a ricordarmi che ogni momento vissuto ha un senso, sento forte il bisogno di riepilogare quegli attimi particolari. Sento che mi sta per accadere qualcosa di meraviglioso.

L’albero di ulivo, il cameriere, il proprietario, i signori che se ne sono andati… Tutto profuma di storia, ogni momento è un racconto. Ed io, che ho contemporaneamente la fortuna e l’onere di vivere di ciò, ho l’intuizione giusta. Mi batte forte il cuore perché tutto è diventato chiaro nella mia mente. Afferro la mano di lei e le parlo, sento il suo respiro. La coinvolgo nel progetto perché so che lei è più brava di me per certe cose. Ma in ciò che voglio fare io non esistono più bravi e meno bravi, esistono tante storie, esiste un sogno, un posto virtuale che diventa reale, un luogo dove far confluire i racconti di tutti, perché la vita stessa è un racconto. Perché il racconto può essere una dichiarazione d’amore. Il racconto può essere una confessione o una richiesta di aiuto. Il racconto, a volte, è un sussulto che si perde in un mare di nulla.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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