Il soggiorno azzurro

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Mi ricordo di una casa, al centro di Roma. Un appartamento molto grande con un soggiorno, le cui pareti dipinte di azzurro, apparivano ai miei occhi come l’interno di una casa greca in riva al mare. Mi sembrava addirittura di sentire, ogni volta che vi entravo, il fruscio delle onde nei giorni di risacca. Non era vero, quello che sentivo non era il mare, era il rumore ovattato del traffico delle strade, laggiù in fondo, otto piani più in basso.

Ogni volta che entravo in quella casa, mi sentivo a disagio. Gli abitanti erano lì anche se erano assenti. Nel soggiorno azzurro, c’erano i quotidiani gualciti sul tavolo basso davanti al divano, a volte, nell’acquaio in cucina c’erano alcuni piatti poggiati. Non c’era disordine, ma soltanto quella presenza abitativa, quella confidenza tra l’uomo e la sua casa. Nell’aria potevano distinguersi i profumi dei suoi abitanti, una tonalità di Chanel molto femminile impregnava la grande stanza da letto. Mi sentivo una clandestina in quell’appartamento. Le rassicurazioni del mio amico non mi bastavano a farmi stare tranquilla. Temevo sempre di essere sorpresa in flagrante in una casa estranea. Il mio amico, che non ho mai saputo se fosse il legittimo proprietario dell’immobile, mi sorrideva divertito. Eravamo molto amici, molto legati per ragioni insondabili. Per questo facevo del mio meglio per fidarmi di lui e lui faceva del suo meglio per farmi stare meglio.

Ci confidavamo, ci confrontavamo, a vent’anni è facile essere amici. Ascoltavamo della musica, avevamo gusti molto simili. Il mio amico mi guidava ad ascolti nuovi, mi proponeva delle nuove uscite discografiche. All’epoca, la musica si comprava incisa su supporti standard, come un compact disc oppure un vinile. Le musicassette le usavo soltanto io per registrare i pensieri, le voci, le storie di certe sere che non avrei saputo come fermare nella mente. Ho raccolto le voci di tutti, degli amici, dei conoscenti, degli avventori di certi locali, dei passanti di certe notti romane.

Un pomeriggio nel grande appartamento all’ottavo piano, nel centro di Roma, decisi di provare a sentirmi a mio agio. Da tempo, sognavo di immergermi nella vasca con l’idromassaggio. Nel bagno c’era anche la tv. Mi feci coraggio ed espressi il desiderio di fare il bagno. Il mio ospite acconsentì, mi mise a disposizione tutto l’occorrente, compreso l’accappatoio. Mi chiusi dentro, pregustando il piacere dell’acqua calda e profumata. Mi sentii stanca, dal corridoio arrivavano le note delle canzoni di band dimenticate anche da me, solo occasionalmente oggi rispolvero certi ascolti, entrai nella vasca, i getti si attivarono subito e io mi addormentai. Il mio ospite si preoccupò non poco. Mi chiamò, mi fece sentire confusa, la sua ansia mi sembrò fuori luogo, inopportuna.

Quella sera me ne andai da quella casa, me ne andai per sempre, non ci rivedemmo mai più. Non gli dissi mai grazie.

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