Musica e scrittura alla ricerca delle tradizioni con Gian Michele Montanaro

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La musica si mette in cammino e diventa narrazione con Gian Michele Montanaro, campano di origine e laziale di adozione, talentuoso musicista che valorizza gli strumenti minori della tradizione. Dopo aver viaggiato in lungo e in largo nel cuore dell’Italia alla ricerca di sonorità ed emozioni ha dato alle stampe il suo “POPOLabile, diario di un viaggiatore musicista… o quasi”.

Gian Michele Montanaro

Gian Michele Montanaro

Un diario che Gian Michele Montanaro presenta in forma di spettacolo e che, domenica 22 maggio, farà tappa ad Arce, in provincia di Frosinone, per la Festa della Ballarella giunta alla IV edizione. Una due giorni di musica, spettacolo, idee e balli per riscoprire e valorizzare le tradizioni popolari. Da sabato alle 15 e fino alla notte di domenica Arce si trasformerà nella ‘capitale’ della ballarella grazie all’impegno dell’associazione Piccolo Laboratorio Popolare che ha realizzato l’evento in collaborazione con l’associazione Folk Lab, inserita nel circuito Ciociaria Sona, e con il patrocinio del Comune. Domenica 22 maggio, dalle ore 16, sarà l’occasione per conoscere dal vivo Gian Michele Montanaro.

Il programma della festa della ballarella

Il programma della festa della ballarella che si terrà ad Arce il 21 e 22 maggio 2016

POPOLabile “diario di un viaggiatore musicista… o quasi” non è solo un titolo molto evocativo, ma sembra quasi un documento programmatico. Come è nata la scrittura di un diario di bordo attraverso l’Italia? Come il musicista è diventato scrittore?
La scrittura è analitica, e quindi scrivere mi fa stare bene. È una cosa che in modo più o meno intenso ho sempre fatto. Mi piace leggere e amo scrivere. Più che di un’idea parlerei di una necessità a cui ho dato e do sfogo.
Io sono un libero professionista del settore arte musica e spettacolo, così vuole la prassi burocratica venga definito il mio ruolo sociale. Ma non credo che sia nello specifico questo ruolo a rendere il mio diario più interessante di quello di un adolescente o di un fruttivendolo o di un tennista o di un imprenditore, bensì l’individuo che lo sottende nel suo saper essere, e qui mi avvalgo di una citazione di Charles Horton Cooley, specchio dell’altro e saper riflettere chi passa.

Negli ultimi anni la musica popolare è diventata oggetto/soggetto di studio e molto è stato fatto per recuperare sonorità tradizionali, il folklore non ha più una connotazione ‘minore’ ma piuttosto sembra essere diventato un punto qualificante. Perché, nell’era della globalizzazione, si cercano le radici? Che valore ha oggi la cultura popolare per te?
Le spiegazioni le lascio agli addetti ai lavori: io non sono né sociologo né etnomusicologo, per me potrebbe anche semplicemente trattarsi di corsi e ricorsi storici ma personalmente credo che sia una grande conquista per un popolo come il nostro il riavvicinarsi alle proprie tradizioni perché vuol dire riconoscersi per tutto quel grande bagaglio culturale nato da secoli di scambi ed interazioni con altri popoli e quindi accettarsi un po’ meno come italiani e un po’ più come uomini.
Il successo di massa, e chiudo con una metafora, per me è come una stagione redditizia in agricoltura: la fioritura primaverile è rigogliosa e i frutti tanti e sugosi, ma finita quella stagione i frutti cadono e l’albero si spoglia e di quei fiori e di quei frutti resta un vago ricordo. Mentre tutto ciò avviene all’esterno alla portata degli occhi di tutti, sotto terra lontana da occhi indiscreti la radice continua il suo lento ma costante percorso di crescita, e modificando anche la propria forma, non smette di sostenere quell’albero che tutti vedono ora rigoglioso ora scarno.
La tradizione non ha bisogno di riflettori e di attenzione perché è e si modifica in funzione del ruolo sociale che assolve, è come la radice. Tutto il resto, il folk revival e/o tutto ciò che si ci può sommare sopra, è un frutto altalenante nella fioritura e nella fruttificazione, è lo specchio verso l’esterno dell’albero ma soprattutto della radice che lo sostiene.
Questa è l’immagine che ho della tradizione e di tutto ciò che ne deriva.

Ogni viaggio prevede degli incontri. Quali sono gli incontri più importanti della tua esperienza di musicista-autore?
Mi piace emozionarmi per ciò che sto facendo, quindi non collego l’importanza di un’esperienza alle dimensioni del palco e del numero degli spettatori, ma a quanto quella situazione mi ha regalato emozioni positive. Volendone citare una nello specifico sono certo che i 4 anni di ricerca e registrazioni sul campo nella mia terra d’origine, da cui è nato il dvd con opuscolo allegato intitolato “Canti e Danze del Matese campano” sono state un’esperienza artistica ineguagliabile. Tutte le fantastiche persone che ho conosciuto, anziani e giovani ballerini e suonatori dei vari paesi del Matese campano rappresentano un mondo di volti, sorrisi e competenze che custodirò per sempre nel cuore.

Raccontarsi è sempre un raccontare collettivo. Cosa resta dei racconti della tradizione orale nelle musiche popolari?
Le musiche ed i canti popolari sono per me il libro non scritto dei racconti della tradizione orale. Penso che nelle musiche popolari più che il racconto di un periodo storico o di uno specifico modus vivendi legato ad altri tempi, quindi legato ad un’identità, resta in modo indiscusso l’essenza di un pensiero inconsapevolmente condiviso dall’intero genere umano riguardante valori di sana socialità in un sano rapporto con l’ambiente. E per ambiente intendo quel grande corpo di cui l’uomo non è nient’altro che una singola cellula. Usando una metafora di Luis Sepùlveda direi che la musica popolare ci ricorda di essere “parte innegabile di luoghi in perpetuo cambiamento, uno dei tanti peli di quell’infinito corpo verde”.

Qual è il messaggio principale che si veicola attraverso la musica popolare?
Unione, scambio, condivisione? Questa forse è la sua forza principale secondo me. Credo di aver in parte già risposto a questa domanda, ma voglio aggiungere che parlare di musica popolare non è semplice, perché con questo termine si tende ad individuare un insieme che incorpora molte variazioni di genere. Premesso che credo nella teoria che non definisce la musica un linguaggio ma le attribuisce un valore più alto, senza entrare troppo nel dettaglio, credo che la musica veicoli le emozioni, veicoli il sentire di un individuo, e la musica popolare unisca più d’altri generi questi modi di emozionare anche tra generazioni e culture differenti.

Quali sono i progetti ai quali stai lavorando?
Con il mondo della scrittura sto lavorando a tre progetti. Due personali ed uno collettivo. Dei due personali uno è la restituzione in una pubblicazione ebook, quasi gratuita, di tutto il materiale cartaceo e audio raccolto durante i quattro anni di ricerca nel Matese campano. L’altro è un romanzo autobiografico che mi sta entusiasmando molto, perchè rappresenta anche una sorta di testamento generazionale del mondo familiare e ambientale che ho ed hanno vissuto in molte persone della mia età e che dedicherò ai miei figli.
Infine il progetto collettivo è un lavoro complesso che riguarda una panoramica totale di tutte le ricerche, dall’amatoriale al professionale, sviluppate in Terra di Lavoro e riunite in un unico volume che si intitolerà “Terra di Lavoro e Canto”.

Paola Caramadre

Giornalista, autrice e lettrice onnivora e curiosa. Promotrice culturale, 'regista dei libri' e cofondatrice di Tantestorie.it

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