Il voto di Italia

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di Antonella Branca

Dal titolo vi sembrerà l’ennesimo racconto di vicende politiche, ma non è così.
E’ la storia di una donna che chiamerò Italia, per rispettare la sua privacy, ed è una nonnina che ho conosciuto domenica nel seggio che presiedevo.
Arriva, col fiatone per via delle scale, si fa registrare, vota, mentre sta per andarsene, si guarda un pochino intorno, è ora di pranzo quindi bassa affluenza, si gira e mi guarda.
Credo non si accorga della fede al mio dito, mi dice: “ Signorì, io volevo votà, dovevo votà.”
Le sorrido, la pagina del registro è ancora aperta sulla pagina, leggo la sua data di nascita e solo in quel momento mi rendo conto che ha 93 anni, portati bene, è del 1923. Ha votato per la prima volta nel 1946 e non perché era diventata maggiorenne bensì perché aveva conquistato il diritto di voto.
Le chiedo: “Ma allora Lei ha votato nel 1946, al famoso referendum?”
Mi risponde: “Sì e da allora non ho saltato un voto. Io grazie ad una zia suora ho studiato, ho la quinta elementare, sono stata fortunata.

Mio padre diceva che le donne non dovevano capire, quindi che cosa dovevano votare, io invece volevo. Non voleva farmi fare la carta d’identità, mi diceva che ci volevano 300 Lire e con quei soldi si poteva fare altro. Allora io gli ho detto me la pago da sola, di giorno lavoravo per la famiglia, di notte ricamavo la dote della figlia di una signora benestante.

Ricordo ancora la faccia di papà quando gli ho detto POSSO VOTARE PURE IO, avevo vinto. Ho vinto. Quel giorno ero emozionata, mi sono vestita a festa; sapevo che mi avrebbero dato una scheda, io dovevo scegliere e poi leccare i lembi della carta per chiuderla. Allora quelli del seggio mi dissero NON LA SPORCARE DI ROSSETTO; sono stata attenta. Signorì quella che tu sei io ero e quella che io sono tu sarai. Statti bene.”

Augurandole buona vita mentre si appoggiava al nipote per andare le ho detto grazie di quell’emozione che ha fatto vivere a me, settanta anni dopo.

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