Un cameriere di troppo

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C’erano due camerieri.

In verità ce n’erano più di due, ma erano stati quelli ad attirare la mia attenzione. Uno anziano, l’altro giovane. E mentre i loro colleghi si districavano con maestria tra tavoli, posate e vivande, i due si mantenevano più appartati.

Dell’anziano notavo la sicurezza nello spiegare il lavoro al giovane; del giovane, già resosi protagonista di un paio di imbarazzanti performance, coglievo invece la perplessità. Alcuni piatti cadutigli dalle mani e il contenuto di qualche bicchiere rovesciato sui tavoli degli invitati avevano minato le sue certezze; l’onta della brutta figura alla luce del sole, certificata dall’applauso di incoraggiamento dei presenti e dal puntuale rimprovero del titolare, gli erano per un attimo sembrati elementi sufficienti a bloccargli la carriera di apprendista. Riuscivo a cogliere il suo viso imporporato.

L’orchestra sciorinava un vasto repertorio musicale e gli invitati, sia giovani che adulti, sembravano divertirsi. Si eseguivano balli a richiesta, di gruppo, latino americani, valzer e mazurche. Il classico trenino, procedeva imperterrito sulle note dell’inflazionato “Disco Samba”. Oramai aveva raccolto dai tavoli il massimo delle persone. “PE PE PEPEPEPE”, continuava il suo percorso.

Mi feci scivolare la musica addosso, avevo voglia di riflettere nel mezzo della caciara. Provai in modo blando a scambiare quattro chiacchiere con i miei vicini, ma non era ciò che cercavo.

Presi a martoriare il bottone della mia giacca, giusto per fare qualcosa. Una signora mi sorrise. Ricambiai il sorriso per educazione. Mai seppi se mi stesse prendendo in giro per il bottone o se provasse interesse per il mio silenzio.

Dell’antipasto a buffet restavano piccole tracce sul banco; qualche fetta della cascata di prosciutto, alcune tartine sfatte, noccioli di olive, scolature di pinot, vettovaglie varie, tovaglioli ciancicati.

Uscii fuori a prendere una boccata d’aria. Oltrepassai il ponticello di legno e diedi uno sguardo ai cigni che nuotavano nel laghetto sottostante. Una coppietta sulla panchina all’angolo pomiciava infischiandosene di me, dei cigni e della festa. Tornai dentro.

Eravamo tutti seduti a tavola. Iniziava la seconda parte della festa, l’assaggio dei primi. La cucina era ottima, ma io non avevo fame. Cercai un contatto umano, un contatto diverso. Lo ritrovai nel cameriere anziano che venne per servirmi. Era più anziano di quanto immaginassi. Mi intristii, e ancor di più quando vidi che gli tremavano forte le mani. Aveva gli occhi lucidi. «Cos’hai?», gli chiesi come se ci conoscessimo da una vita. «Lo vedi quel ragazzo?», mi rispose indicando il suo collega giovane, «È mio nipote. Scusatelo se dovesse commettere qualche errore, è un bravo ragazzo. Questo di oggi è il suo primo banchetto». E andò via.

Toccò poi al cameriere giovane sparecchiare. Vidi che anche a lui tremavano forte le mani. E quando incrociai il suo sguardo notai che aveva anche gli occhi lucidi. «Cos’hai?», rifeci la stessa domanda di qualche minuto prima. «Lo vedi quel signore lì?», mi chiese. «Chi, tuo zio?», dissi io. «Sì, lui…» confermò con la testa bassa, «Questo di oggi è il suo ultimo banchetto».

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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