Sotto la toga… niente

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Giuditta Di Cristinzi
Quella mattina saltasti su come un grillo, ti  preparasti velocemente, ma con cura. Certo lei ti  piaceva proprio, accendeva le tue fantasie, anzi il desiderio.

– Ciao cara, buona giornata.

Un bacio frettoloso sulla fronte, ma non sfuggisti lo sguardo di tua moglie. Avevi paura di essere sgamato.

Poi via in ufficio a preparare la cartella e di là dritto in udienza. Quando la vedevi filare lungo il corridoio, con la toga addosso, ti intrigava anche di più, ma capitava di rado, per fortuna.

Le udienze civili, la dottoressa Bruni, le teneva sempre in borghese, con quei suoi tailleurini bon-ton e un filo di perle, l’aria quasi sempre un po’ distratta di chi sembrava capitato lì per caso, come venuto da un altro pianeta. E quando ti  sorrideva o salutava con garbo gli altri, tirando giù gli occhiali sul naso, scatenava le tue fantasie. La bocca si schiudeva su una dentatura bianca e un po’ irregolare, con un incisivo leggermente accavallato in avanti.

Rasato alla perfezione, profumato, ma non troppo, eri deciso, l’avresti invitata a pranzo. Avevi aspettato fin troppo, tenendoti sul vago.

– Caffè?

– Sì, dai, facciamo una pausa, che ne ho proprio bisogno. Alle dodici ho una prova con cinque testi e chissà quando finirò. Oggi tocca a me offrire.

– Mi piace parlare con lei sa, – le avevi confessato ammiccando una volta, – mi dà l’impressione di capirmi, di poter condividere certi pensieri, certe riflessioni non proprio comuni.

– Grazie, – aveva risposto semplicemente lei, sempre un po’ distratta e sopra le righe. Per davvero o per posa o per difesa, questo dovevi ancora scoprirlo. E poi  giù con le sue solite elucubrazioni sociologiche ad alta voce sulle relazioni umane. A te, maschio vigliacco, in realtà non te ne importava niente di quelle stupidaggini. Volevi solo provarci, al momento giusto però, quando fossi stato sicuro di non prendere un palo. Ma poi, ad un certo punto, avevi capito che questa certezza non l’avresti avuta mai. Che speravi che te lo scrivesse nero su bianco come un’ordinanza con tanto di data e timbro di cancelleria?

E così ti eri deciso. Lunedì l’invito a pranzo. Prima d’ora mai con un magistrato. Solo l’idea di esserci arrivato vicino, già ti ringalluzziva. Neanche l’ombra di un rimorso verso Paola. Non avrebbe mai saputo. Aveste avuto entrambi, tu e la dottoressa Bruni, l’interesse a tenere la cosa segreta. Chissà come si mette in questa cosa vostro onore. Curiosità, imbarazzo, un po’ d’ansia da prestazione. Dai, non  fare il ragazzino, dai che ci sta!

Macinasti velocemente i passi dal parcheggio fino all’ingresso del tribunale, arrivasti tutto gasato all’ascensore, cercando di celare ogni emozione e di sembrare il più normale possibile, ma ti veniva da fischiettare.

– Che piano? – fece il tipo alto in fila appena davanti a te.

– Terzo, ho  udienza dalla dottoressa Bruni.

– Ah, bene, vado anch’io da lei, ma non conosco la strada,  disse,  che aula?

–     La sei.

– Bene, farò una sorpresa,  – rispose quello senza esserne stato richiesto,  mentre tu lo guardavi forse con espressione interrogativa. Che sorpresa?

– Sa, sono il marito, – disse il tipo, ignaro, gelandoti con solo tre parole.

Un attimo per realizzare.

Bene, pensasti deluso, sentendoti un gran cretino, sotto la toga… niente.

Almeno per oggi.

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