L’universo dei pendolari

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Cosa significa essere pendolari? Essere pendolari non significa solo salire su un mezzo per raggiungere il posto di lavoro, l’università, solo chi è pendolare conosce anche le vere angosce della vita di un pendolare. Quando arriva l’inverno, per esempio, fuori fa freddissimo, e la macchina che ti serve per raggiungere la stazione è completamente gelata; questo è il momento in cui l’ansia ti assale: devi fare in fretta perché il treno parte e non puoi tardare nemmeno un minuto. Inoltre, fuori è così buio e spesso ti senti sola per strada; solo se sei fortunata puoi incontrare i netturbini. Poi l’arrivo al parcheggio: almeno per me parcheggiare non è mai stato un sollievo. Spesso arrivavo in quel parcheggione, poco distante dalla stazione, ma anche in quel momento mi sentivo sola ed impaurita. Così chiudevo la macchina velocemente ed iniziavo a camminare a passo svelto verso la stazione. Quando ero fuori dal parcheggio, vedevo altre macchine che iniziavano ad arrivare, ma ormai ero già distante per sentirmi meno sola. Beh anche il viaggio non è mai stato così piacevole: trovare un ambiente caldo era quasi impossibile perché l’aria calda era disponibile solo in alcuni vagoni del treno, per cui chi riusciva a trovare un posto nel vagone giusto era “fortunato”. Nelle giornate sfortunate, avevo il mio grande foulard che poggiavo sulle spalle per riscaldarmi, ma a volte perdevo concentrazione anche nella correzione dei compiti in classe, perché vicino il finestrino dove abitualmente mi sedevo, invece di uscire aria calda, usciva l’aria fredda, e quando chiedevo spiegazioni, mi hanno sempre risposto che era un guasto, e di provare a cambiare vagone. “Questo è il modo di risolvere problemi”. Però sul treno era l’unico posto in cui non mi sentivo sola: c’erano i soliti lavoratori che alle 5 del mattino avevano già voglia di fare lunghe chiacchierate tra loro, c’era la ragazza con il cellophane, c’erano tanti volti buffi, il signore che dormiva coprendosi gli occhi con il cappello, ed infine c’erano tanti precari come me. Ma il vagone che mi piaceva di più era quello dove alle 5 del mattino dormivano tutti, ed io facevo parte di questo vagone.
Anche l’arrivo nella capitale non era migliore: s’iniziava con la corsa per raggiungere la metro, e, anche quando finalmente ero dentro, era così affollata che mi sentivo quasi soffocare con tutte quelle persone intorno. Solo a metà tragitto mi sentivo di nuovo libera: la metro si svuotava e potevo sedermi. Infine c’era anche la fermata dell’autobus, ma per fortuna quella necessitava di qualche minuto di attesa. Anche se apparentemente siamo tutti diversi, nel momento in cui saliamo su un treno, autobus, e comincia la nostra routine da pendolari, diventiamo un solo universo con le stesse angosce, le stesse corse.

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