L’ultima. Ernesto lo giura!

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Si chiude la porta alle spalle, sospirando rumorosamente. È nervoso, ma decide di calmarsi e l’unico modo che conosce è fumarsi una bella sigaretta. Se la accende e fa il primo tiro, a pieni polmoni: come se quel fumo contenesse tracce d’aria alpina. Gli sembra di sentirsi quasi meglio, tanto da allontanare da sé il pensiero opprimente del lavoro. È debole, la mente umana. Schiavi di un pezzo di carta che prende fuoco, arrotolato – quasi artisticamente – a qualche centimetro di tabacco. Nuvole di fumo ordinate, che fuoriescono dalla bocca, per poi spargersi libere e grigie nel buio della notte. Grigio e blu: un’accoppiata perfetta. Il fumo che macchia, per pochi secondi, il cielo blu della notte. Quella maledetta nicotina gli fa tenere gli occhi incollati al pacchetto di MS rosse, poggiato sul tavolino basso del salotto, accanto al posacenere a forma di donna nuda, con una dozzina di sigarette schiacciate al suo interno.

Ogni sera, Ernesto promette a se stesso che fumerà l’ultima sigaretta; e allora, prima di mettersi a letto, aspira dolcemente il fumo della sua ultima amante, come se dovesse farci l’amore. Si corica con questo pensiero, con la bocca odorosa di tabacco, indice e medio della mano destra dalle unghie ingiallite e la presenza di nicotina in ogni traccia del corpo e dello spirito.
Il mattino dopo apre gli occhi e, aggrottando le sopracciglia e sgranando gli occhi, palpa la tasca interna della giacca, posizionata sulla poltroncina accanto al letto, in cerca del suo pacchetto morbido.

Ogni mattina è la stessa storia: quasi deride se stesso per l’ammirevole intenzione della sera prima: “al diavolo!” Ernesto si accende i suoi centimetri tanto bramati e gli sembrano i più buoni e gustosi di sempre.
Una delle cose che ama? Fumare appena sveglio, quando è ancora mezzo intontito, prima del caffè: uno, due, tre tiri e sente la nicotina scorrergli lungo tutto il corpo; quel tremolio lo stordisce e gli piace da impazzire. Se potesse immaginare, in quel preciso istante, il suo cervello, se lo immaginerebbe grande – d’altronde è sempre un commercialista e in paese, soprattutto dalle vecchiette, è considerato un genio – e avvolto da una nuvola grigio chiaro profumata di cenere e da un tabacco che insaporisce anche la bocca più arida.
“Lavoro tutto il giorno. Toglietemi anche le sigarette e vi saluto”.
Ripete a se stesso questa frase ogni qualvolta, deluso dal suo non esser padrone di se stesso e dal suo deturpante attaccamento alla nicotina, cerca di giustificare la sua dipendenza.

Quando arriva la sera, dopo cena, Ernesto si rammarica del fatto che, a 56 anni suonati, non abbia una moglie. Lascia i piatti nel lavello e, con aria afflitta, raggiunge il salotto, si china a prendere il suo amato pacchetto, sempre accanto allo stesso posacenere e fuma quella che egli considera l’ultima sua sigaretta, con le sopracciglia contratte, avvicinando le labbra alla ‘rossa’ come se fosse il più tenero degli amanti. Ripete a se stesso:
“L’ultima. Ernesto lo giura!”

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