L’arte della fuga

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Il tempo s’avvede di tutto, ma non lo dà a vedere. A volte ci mostra la strada; altre, si fa scherno di noi mandandoci da un’altra parte, ed è li che gli anni, meno elusivi del tempo stesso, rivelano la loro natura di gradazioni alcoliche fintesi date nei calendari. Stamani, svegliandomi, ho coperto le cose più belle con un telo pesante: i nostri nonni, lo facevano coi televisori a valvole quand’erano spenti, quando non c’era più niente da vedere, o non si voleva vedere. Uscendo ho lasciato la porta aperta. Con sentimento, ho comprato un giornale di titoli che urlavano, non dicevano, l’ho posato sulla prima panchina senza sedermi. Accesa un’altra sigaretta, camminavo guardandomi indietro e cercavo di capire il futuro, ma è inutile: non sempre il prima prepara il dopo; non sempre il dopo, a guardarlo, mette appetito; spesso, anzi, il prima ha reiterato sé stesso e forse sta andando a male.

All’incrocio tra il tabaccaio e la fermata del tram, una zingara mi ha letto la mano ed è stata così onesta da dirmi che più la guardava, meno capiva. Poco dopo, col piede sulle strisce, non volendo tornare e non sapendo andare, ho come avuto l’impressione, tra uno sbuffo di polline e il pernacchio di un motorino, che bevendomi tutti questi anni non ho mai esercitato quell’arte sottile che alcuni chiamano: “predilezione” (parola quanto mai sfortunata, perché in tanti la storpiano, e se qualcuno o qualcosa non ha nemmeno il rispetto del proprio nome, l’impressione è che possa andar male) e naturalmente non ho potuto conoscerne le incombenze, perché mai, da un ventaglio di carte, ho raccolto un pezzo soltanto, e se ne ho prese più d’una, o tutte, o nessuna, od ognuna di queste opzioni di volta in volta, nessuno lo sa.

Proprio allora ho inciampato rischiando di rimanerci secco, ma l’auto che sopraggiungeva ha frenato, un paio di passanti mi hanno aiutato a rimettermi in piedi e il guidatore, premuratosi di scendere e vedendo la mia tempia escoriata, voleva portarmi al pronto soccorso. Un cortese e circostanziato rifiuto e uno sguardo furtivo, tutt’intorno, lo hanno fatto desistere. Imboccai un viale a caso, e nel mentre si è fatta sera. All’imbrunire una sola cosa era chiara e la vedo, ma tutti potrebbero, con la coda dell’occhio, quando appoggio la schiena al muro e tendo di malavoglia il cappello: sarò sempre un estraneo, e sempre, sarò definito, da una linea franca di indefinizione, e dietro o davanti, non so se ci sono io, o ci faccio.

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