La diga di Mosul

Tempo di lettura: 2 Minuti

Renato avrebbe fatto parte della squadra di tecnici incaricata di effettuare la manutenzione alla diga di Mosul. Sapeva di essere tra gli ingegneri più giovani, ma non pensava di essere anche tra i più bravi. Era al settimo cielo, ma la sua gioia durò poco, quel tanto che gli bastò a pregustare il primo lauto stipendio e la successiva folgorante carriera. Poi seppe in modo più dettagliato in che posto sarebbe dovuto andare e cosa avrebbe dovuto fare ed ebbe paura, tanta paura. Era la paura che assale chi dopo tanti sacrifici intravede il traguardo e teme di non farcela proprio sul più bello. Decise di sopprimere l’angoscia e così organizzò la partenza. A Renato non piacevano gli addii, il suo doveva essere un arrivederci. Radunò tutti gli amici e offrì loro la serata al pub. Non mancò la sua bella fidanzatina che gli aveva detto sì soltanto la settimana prima. Chissà cosa ne sarebbe stato di lei ora e come sarebbe stato diverso se lui non avesse vinto quella selezione… Lei fu fredda per tutta la serata, c’era una diga tra di loro. Sarebbe stato quello, forse, l’unico addio, e meno male che il loro rapporto era soltanto all’inizio, entrambi se ne sarebbero fatti una ragione. La mattina successiva, quella della partenza, abbracciò il papà e la mamma che gli preparò un po’ di provviste. “Sta’ attento!” disse lei senza sapere dove fosse l’Iraq e che avrebbe detto la stessa cosa pure se il figlio fosse andato a zappare il terreno del vicino. I due genitori erano contadini e non guardavano la televisione perché “la televisione trasmette solo cose brutte”, dicevano.

Renato aveva voglia di riabbracciare la sua famiglia e respirare l’aria fresca del mattino, quando la sua cara mamma gli apriva la finestra e lui si svegliava con il canto degli uccellini. E poi la colazione, il pane e sugo a tarda mattinata… e gli amici e la ragazza che aveva sentito sempre più lontano… Ma la diga gli era entrata dentro, un lavoro complesso, gratificante. Il bacino idrico più importante dell’Iraq poggiava su uno strato instabile di argilla e gesso, un’area circondata da americani e dalle tensioni che esercitavano i miliziani dell’Isis. C’era tutto in quella sfida: la politica, la guerra, la gloria, i soldi e le vite umane che a Renato stavano più a cuore di quanto avesse immaginato. Se fosse crollata, un’onda impressionante avrebbe sconvolto il bacino del Tigri e raso al suolo subito Mosul e Bagdad entro un paio di giorni provocando la morte di milioni di persone. La diga di Mosul faceva paura solo a nominarla.

“Resta con noi, Renato”, gli disse la mamma “troverai di che vivere a casa tua!”
Ma come in un romanzo anche la storia di Renato aveva più di un finale e il suo era già scritto. E se il primo viaggio verso Mosul era stato per lui il viaggio della consacrazione, questo era quello degli addii.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

Rispondi