Intimità

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di Mirella Morelli
E non c’è proprio niente da dire, quello era il suo uomo.
Lo aveva accanto da anni, lo aveva conosciuto arruffato e giovane come un cucciolo di lupo che azzanni le sue prime prede, per poi accompagnarlo negli anni fino a vederlo per quello che era: un piccolo animale guardingo e a volte debole, che mostrava spavaldamente quattro stupidi muscoli.

Ancor giovane, sempre giovane, perennemente giovane. Nell’animo, o negli occhi, o nella mente. Non certo nello spirito, quello no!, quello era stato rosicchiato già da un pezzo dagli eventi, e a niente era valso indurire la corazza, dire ‘faccio la pellaccia!’, ‘mi piego ma non mi spezzo!’, e tutte quelle sciocche e scontate battute che tanto, prima o poi, di fronte alle avversità ogni essere umano si scopre a pronunciare.

La vita era stata lì, con la sua clava non certo a riposo, con la sua ascia sempre più affilata…
Lei lo guarda. Anzi, lo annusa, lo respira, lo soppesa.
Lui non molla, no. Ma guardalo lì: girato su un fianco, la pancia un po’ scoperta, sta perfino russando appena appena… il suo uomo, sì.
Che ci sarebbe da chiedersi perché l’ha scelto, perché proprio lui e non un altro, eppure non se lo chiede, sa che è così e basta: lui, e nessun altro. Né ora né mai, ne è sicura come di poche cose al mondo, e proprio mentre guarda quel suo accenno di pancia e quel primissimo russare delle prime ore della notte.

Lei, assorta a fissarlo con un gomito sul cuscino. In penombra, la penombra della loro camera.
Lui, con quel piccolo rumore nasale del respiro che è il suo segno distintivo.
Quello è il suo uomo. Se lo ripete, se lo ripeterebbe mille e mille volte in notti come queste: quando c’è appena stata burrasca e discussioni futili, e il nervosismo di una giornata che è sembrata a entrambi interminabile ma che no, nessuno dei due avrebbe voluto terminasse in litigio…
Anzi: lei voleva raccontargli, e anche lui avrebbe voluto farla partecipe di tutto il gran pasticcio che erano state quelle ore trascorse separati, eppure… eppure era finita così, il nervosismo aveva preso il sopravvento: lui pensava al suo lavoro che stava perdendo e lei pensava al colloquio con la maestra a scuola che parlava del loro figlio quasi come di un disadattato.
Dov’era che il loro tentativo di dialogo si era interrotto?
Come sempre, per reazione al malumore, lui si era girato sul fianco e aveva cercato rifugio nel sonno. E ora russava pian pianino, così.
Come sempre, lei era rimasta a occhi aperti nel buio, e ora si sollevava sul gomito per osservarlo.
Quello era il suo uomo, sì, e non c’era verso di pensare diversamente neanche nel litigio.
Un fiotto di tenerezza la coglie, una volta ancora.
Stanco, forse un po’ egoista per essersi addormentato senza prima far pace, sicuramente oberato da problemi lavorativi non facili da gestire ma almeno parlarne: e che diamine!

Quello era il suo uomo. Con tutta la buona volontà, non riusciva a rimanere imbronciata con lui. Le bastava guardarlo, temere per i suoi crucci, e subito aver voglia di consolarlo.
Il suo russare si fa appena appena più intenso, e invece che fastidio lei prova quasi sollievo mentre pensa che lo ama. E lo conferma a se stessa, lo ribadisce, si sente stupida ma lo sottolinea al suo cuore con enfasi.
E sorride, lei.
Sorride mentre lo guarda nella penombra e pensa che tutto ciò ha un nome solo, e bellissimo: intimità.

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