In cerca di grazia

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Ci sono giornate che non vogliono mai terminare e riservano piccoli scampoli d’inverno. Anche laddove l’estate è più piena, perché manca sempre qualcosa.
Livia è stanca, le duole la sua piccola mano che regge una borsa dal peso più grande di lei.

Vorrebbe rincasare, e invece s’incammina lungo quel muro. Docili passi senza pretese di tempo.

L’andatura è lenta, lo sa. Ma la canicola non le concede tregua, anzi, talvolta le sembra che tutto si metta a girare. Sarebbe troppo facile smettere di pensare e accasciarsi al suolo. Chi verrebbe a soccorrere il suo esile corpo? Forse quel vecchio che poco prima la guardava di sottecchi, senza distaccarla d’un attimo. Persino svenire è pericoloso, se si è soli per la strada. E così lei cambia marciapiede, e ritrova un poco di ombra. Un calmo ristoro per il suo fisico, già molto provato.

Il piazzale è al sole, e questo le spiace. Le bancarelle son tutte scoperte, perché se non vendono adesso. Scarna è la facciata, ma comunque imponente.

Livia entra nella frescura e percorre la lunga navata. Fra turisti ciarlieri e fedeli devoti, si fa strada nella folla. E cerca l’altare. La tomba del Santo, a cui tutti chiedono la grazia. Affollata di foto e santini, gente a cui lui ha salvato la vita.

Non c’è posto per inginocchiarsi, e Livia si limita a toccare quel muro, alla cui estremità giacciono le ossa. Flette la mano, l’incunea nella roccia, a toccare dove migliaia di mani in preghiera hanno già toccato. Quel che dice, nel suo rapido discorso, non è dato sapere.

Ma Livia chiede la grazia per quel padre che dorme da mesi nel letto, immobile nel freddo ospedale in cui lei ha passato le ore.
Una signora nerboruta le fa posto, e accomuna il suo dolore a quello di questa bambina che già sembra una donna. O forse è già donna, dal corpo esile come quello di figlia.
S’incrociano le loro vite, a quelle di tanti altri.

Livia si desta, si fa il segno della croce e torna ad uscire nella calura.
Un destino, due vite appese a un unico filo.
Ha fatto il suo dovere, ha giocato la sua ultima carta.

Padova non le è mai sembrata così triste, ma nemmeno così bella.

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