Il Verismo

lavagna e banchi a scuola
lavagna e banchi a scuola
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I bambini credono che i propri genitori siano i migliori. In questo eccesso di fiducia e di amore pensano che sappiano tutto ciò che gli altri non sanno. Finiscono per attribuire loro una cultura che spesso non corrisponde alla realtà. È anche una ricerca di protezione. Chiedono, esigono, impongono ai genitori di essere seguiti nei compiti giornalieri che maestri e professori gli assegnano nel rispetto dei programmi. E nella ricerca della migliore collaborazione tra scuola e famiglia, i genitori vengono esortati a seguire i propri figli, guai a lasciarli soli.

Questo dura fino a quando crescono, fino a quando prendono la loro strada e i genitori non ce la fanno più a seguirli. Il povero Cecco non aveva mai fatto mancare l’affetto ai suoi pargoli, ma in quanto a cultura non stava messo granché bene. Aveva altro a cui pensare e da contadino esperto e navigato preferiva sostituire cultura con coltura. Però sapeva anche che le esigenze di suo figlio non potevano passare attraverso una vocale.

E per questo cercò di non darsi per vinto e di camuffare il suo disagio nei confronti del figlio Filippo, il giorno in cui quest’ultimo tornò a casa soddisfatto per il bel voto preso con la tesina sul Verga e sul Verismo. Cecco passò il suo primo brutto quarto d’ora allorquando dovette capire che il Verga fosse uno scrittore e non la mazza con la quale lui governava le pecore. Il passo successivo fu comprendere che il Verismo fosse un movimento letterario e non una gara tra studenti su chi dicesse la verità. E mentre rivoli di sudore gli scendevano dal collo, cercò di non darlo a vedere, anche perché Filippo gli pose fiducioso tra le mani il suo lavoro.

In particolare il compito assegnatogli dalla professoressa verteva sulla novella Rosso Malpelo, uno dei brani più conosciuti dell’autore siciliano. Era fatta bene, talmente bene che Filippo, si era sentito soddisfatto e felice come non mai nel sottoporre quel capolavoro all’insindacabile giudizio del suo papà. Cecco inforcò gli occhiali, afferrò i fogli tra le sue unghie annerite dalla fatica e li scrutò cercando con lo sguardo un appiglio, un porto sicuro sul quale posare i suoi occhi smarriti. Accorse in suo aiuto la biografia dello scrittore. Cecco ebbe un sussulto. Non poté fare a meno di soffermarsi su un particolare che lo colpì subito. A quanto pare il Verga, nato a Catania il 1840, e trasferitosi a Firenze prima e Milano poi nel 1872, in ottemperanza al fatto che ognuno della sua vita può disporne come vuole, decise di tornare a Catania dove morì nel 1922. Mentre Filippo attendeva fiducioso l’autorevole parere dell’esperto genitore, Cecco si esclamò ad alta voce:

“Ma al Verga, chi glielo ha fatto fare di tornare a Catania?”.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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