Il tesoro alla foce del fiume

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di Paola Lombardi
“Alla foce del fiume c’è un tesoro” dicevano alcuni che conoscevano bene la zona. L’estate ci portava sempre in una località sul litorale dove, in un tratto, si estendeva la foce di un grande fiume. La fitta vegetazione era puntellata da piccoli manufatti di legno, sembravano cabine in decomposizione divorate dall’acqua. Al tramonto la foce del fiume si accendeva di colori esotici e gli uccelli spiccavano il volo quasi all’unisono volteggiando in tondo come prendessero tempo per non arrivare puntuali ad un appuntamento.

Ma non era quello il tesoro di cui parlavano alcuni. Non erano quelle pietre lucenti sotto il sole o la sabbia arrossata di luce e nemmeno quegli stormi di uccelli bianchi che stridevano nel cielo. Non era la saggezza dei pescatori e non erano le reti disseminate sul fondo della foce. Non erano le catapecchie di legno che avevano visto tempi migliori, non era il ponte di legno che consentiva di assistere a tutto questo. Non erano questi i tesori di quel litorale.
Tra la vegetazione fitta si apriva un passaggio che conduceva in un largario dove, tra la terra, spiccavano pezzi di pietra lavorata.

Mano a mano diventavano colonne di marmo giacenti al suolo. Più avanti si scoprivano archi, colonne che svettavano in cerca di nuove glorie, basolati, strade, i resti di un foro e di un portico che racchiudeva ancora un fascino remoto. E poi un teatro, con le gradinate, la scena e statue, pezzi di uomini romani, abiti di matrone. Una città. Quella era una città. Dalla foce del fiume si apriva un passaggio misterioso in un’altra epoca lontana e sepolta per secoli che, piano piano, tornava alla luce. Le tracce di una città di migliaia di anni restavano ad ammaliare il tempo, a giocare con le epoche e a lasciare i nuovi venuti in uno stato di meraviglia.
C’è un tesoro alla foce del fiume fatto di pietre e di marmi che resta ad aspettare i tempi che cambiano con l’immutabile forza di un passato perduto per sempre.

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