Il miracolo di uova, formaggio e cioccolato

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di Paola Lombardi

La cucina aveva il soffitto leggermente a volta e le pareti di oltre metà della stanza erano rivestite di maioliche bianche con motivi decorativi tracciati di giallo e di blu. L’odore era sempre intenso e ti accoglieva ogni volta di sorpresa appena varcavi la soglia e prima ancora di scendere i tre gradini che ti conducevano nella cucina. Sul tavolo grande di marmo bianco con venature grigie erano già state predisposte le pizze di pane ripiene di verdura. Entro pochi minuti sarebbero state spostate su un ripiano per lasciare spazio alla preparazione del dolce.

Gli ingredienti erano pronti e le donne con i larghi grembiuli che le rivestivano iniziavano il tramestio della preparazione. Il formaggio, le uova, il cioccolato, il cedro e i canditi venivano lavorati, mescolati, assemblati. Mani sapienti impastavano e preparavano come fosse un rito, come fosse una magia mentre la stanza si impregnava di odori, quello della cannella che smorzava quello del formaggio di capra, quello del cedro che gareggiava con quello delle uova sbattute.

I gesti erano sicuri e precisi e, nell’arco di breve tempo, l’enorme teglia di ferro accoglieva la torta così preparata. Veniva infornata e tutti lasciavano la cucina in attesa della cottura. Una volta pronta sarebbe stata lasciata riposare. Nessuno avrebbe toccato la torta per nessun motivo fino al giorno di Pasqua. Nella nostra casa saliva anche tra gli scettici un piccolo segnale d’ansia in attesa dell’apertura della torta.

Il pensiero ricorrente, non detto, era lo stesso per tutti: si sarà capata? Quel dolce preparato con tanta dedizione non era solo un piatto tradizionale ma lo sfogo di tutte le superstizioni che una famiglia potesse avere. In pochi ne avrebbero apprezzato i sapori forti che quella fortezza di uova, formaggio e cioccolato fondente conteneva ma tutti speravano che gli strati dei tre ingredienti principali fossero perfettamente delineati. Durante la cottura avveniva il miracolo.

All’interno del forno si consumava l’auspicio. E il giorno di Pasqua, come novelli aruspici, si tagliava la casata, questo il nome del dolce, con il cuore trepidante. A quella torta erano affidate le speranze di prosperità della famiglia intera compresi gli assenti. Se l’interno della torta fosse stato suddiviso in strati nettamente evidenti la casa si riempiva di gioia. Davanti a tutti si stendeva un anno di felicità. Ma se il miracolo non fosse avvenuto gli scettici tornavano ad esserlo e con le facce torve avrebbero cercato di rassicurare i credenti dicendo loro che era solo una tradizione e nient’altro, ma serbando nel cuore una spiacevole delusione malcelata. La casata non si era capata.

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